Ventesima marcia della pace. Cento esplosioni a scandire i primi passi delle migliaia di persone che da tutta Italia hanno raggiunto Perugia, per dare corpo ad un’idea, capace ancora di mettere insieme generazioni vecchie e nuove.
Un momento di incontro lungo il percorso di 27 km, variopinto di diversa umanità. Uomini, donne e bambini, ciascuno a rappresentare se stesso ma anche l’essere comunità, o l’associazionismo che in questi anni continua a rimanere a fianco alle vittime di guerra, come nel caso di Emergency.
Sulla strada della pace c’è posto per tutti e per tutto, anche per le contraddizioni. C’è posto per un gruppo partito da Messina (a proprie spese), composto da alcuni rappresentanti di Cmdb e organizzato dal consigliere Ivana Risitano, a cui si è aggregata anche chi scrive, per testimoniare come per la prima volta la città è rappresentata dal suo Sindaco, che quella marcia l’ha vissuta anche quando non pensava di poterci tornare con la fascia tricolore. Certo ci saremmo aspettati anche il Gonfalone, ma i costi di questa opzione sarebbero ricaduti sulle casse del Palazzo. E forse per timore della facile polemica, l’enturage del primo cittadino ha preferito puntare sull’icona-Renato.
Lungo la strada pensiamo che ogni percorso, in fondo, è un percorso individuale. Domande e scelte che se non sono capaci di modificare la storia dell’umanità, sono però necessarie alla crescita personale, o testimonianza per gli altri, o speranza di cambiamento.
Politica senza bandiere, se non quelle arcobaleno: ma con una chiara traiettoria che è un richiamo alla responsabilità dei governi di giocare un ruolo di mediazione tra la richiesta di giustizia sociale di cui molti popoli hanno fame, garantendo diritti che in alcuni paesi non sono riconosciuti, riportando al centro delle scelte politiche la dignità dell’uomo, il rispetto dell’ambiente, dei territori, delle culture.
Certo, accanto agli operatori di pace, non è facile ritrovare il poverello d’Assisi tra i consumatori di Pace. Il rischio di mercificare e brandizzare anche le buone intenzioni è sempre dietro l’angolo: anzi tra i banchetti di chi può acquistare la sua appartenenza, con un gadget o una maglietta, per sentirsi migliore.
Un “target” della pace che è esso stesso contraddizione: e ci si chiede se si finisce comunque a consegnare al marketing parte di quelle esaltanti storie di coraggio, o se davvero i soldi restano l’unico modo per contribuire a sostenere chi ogni giorno affronta per noi la sfida di operare sui luoghi della guerra, o di tampinare i potenti perché non dimentichino le loro responsabilità.
Ma poi ci sono gli incontri che restituiscono senso: la nonnina napoletana di 88 anni, che non ha rinunciato allo sfiancante percorso pur di esserci; i giovani musulmani d’Italia che non credono negli integralismi e vogliono dare voce ai moderati e alle donne; Don Luigi Ciotti che non si stanca di ricordare che la mafia non è ancora stata sconfitta perché può ancora ingannare attraverso i trasformismi, persino quello dell’antimafia; Padre Alex Zanotelli che riporta la Chiesa al suo essere accogliente, e che ha chiesto all’Agesci, grande assente di questa marcia, ti ricucire lo strappo con gli organizzatori.
Si, perché anche questa è una contraddizione su cui interrogarsi e che rischia di far apparire la manifestazione diversa da come pensata dal filosofo antifascista Aldo Capitini che l’ha fatta nascere nel 1974. Divisioni che non fanno il bene comune: da una parte la Tavola per la Pace, dall’altra la Rete della Pace costruita dagli scout con Focsviv, Acli, Arci, Legambiente. Ai presidenti del Comitato nazionale Agesci, Marilina Laforgia e Matteo Spanò, uomo della “cerchia” di Matteo Renzi, infatti, non sono piaciute le modalità di gestione della marcia. Ma la decisione dei vertici dell’Associazione non è stata condivisa da molti che, pur senza uniforme, hanno camminato in piccoli gruppi, nella fiumana che ha raggiunto Assisi.
Noi tra loro, a fare la nostra piccola, piccolissima parte. (@Palmira Mancuso)