«Il discorso Ponte sullo Stretto è chiuso perché c’è una società in liquidazione, sebbene un Governo possa fare di tutto nella vita. In ogni caso, suppongo che Renzi parli delle opere compensative mentre ritengo immorale e illegale dover pagare delle penali considerato che, perché ciò accada, occorrerebbe prima avere aperto un cantiere. Qui non c’è nemmeno un progetto esecutivo». Renato Accorinti, sindaco di Messina e leader storico del comitato No Ponte, interviene così a seguito della notizia secondo cui Matteo Renzi vorrebbe riaprire il capitolo Ponte sullo Stretto.
Il sindaco ritorna sulla propria visita a Roma: «Durante il nostro incontro, ho detto a Renzi una cosa importante: l’area dello Stretto è rimasta appesa a un filo, a una speranza. Svanito il Ponte, è svanito tutto il resto. Non si è fatto il Ponte, non si sono fatte le opere compensative e non è cambiato niente». Il primo cittadino nega, in ogni caso, che quando si ottenne di non realizzare il manufatto, si rinunciò a tutto il resto: «L’impegno a carico dei Governi, anche successivi, è sempre stato quello di realizzare le opere compensative, a prescindere dal Ponte. A Renzi ho ricordato che servono opere infrastrutturali fondamentali per la nostra vita. Ho rivendicato un ruolo per lo Stretto e un’Autorità portuale che comandi. Ho rivendicato il diritto alla continuità territoriale, con tariffe più basse, come in Sardegna, nelle Eolie, a Capri, a Venezia. Ho chiesto opere per la messa in sicurezza del territorio, mentre qui siamo stati lasciati soli, nella sofferenza, senza sviluppo. Ho chiesto tutto questo col cappello in mano e la schiena dritta per noi messinesi e per il popolo calabrese». Sono passaggi, questi, fondamentali, secondo il primo cittadino che, tuttavia, non dimentica, ancora una volta, di rivolgersi ai cittadini, oltre che alla politica: «Tutto deve necessariamente passare attraverso il risveglio delle coscienze, la gente deve capire che questa è una comunità e non un condominio».
Senza perdere di vista quanto dice Accorinti, va considerato anche quanto emerso nelle ultime ore. Abbattere un’opera mai costruita, infatti, potrebbe costare più che realizzarla nel Paese delle contraddizioni e dei paradossi. Un Paese che paga 20 anni in cui il centrosinistra ha vivacchiato grazie all’antiberlusconismo, senza produrre proposte concrete. Né una sana pianificazione.
Renzi, che dal Pd sembra avere ereditato solo il simbolo e da Silvio Berlusconi molto altro, pare sia stato spinto in questa direzione da ragioni meramente contabili. Archiviare la pratica, come mai niente sia successo, pare costi più del preventivato. Il general contractor Eurolink, formato da Impregilo come capogruppo mandataria e dai mandanti Sacyr (Spagna), Condotte d’Acqua, Cmc di Ravenna, Ishikawajima-Harima Heavy Industries (Giappone), Aci scpa, pretenderebbe circa 700 milioni per il recesso unilaterale dagli accordi sottoscritti. Oltre un miliardo di euro, la somma complessiva a carico dei contribienti, se si aggiungono tutti gli altri oneri finanziari annessi e connessi.
Del resto, è la storia a raccontare come la vicenda sia stata sempre gestita sulla scorta degli interessi politici di parte piuttosto che su quelli generali. E’ Romano Prodi, tornato a palazzo Chigi nel 2006, a distogliere per primo le risorse per il manufatto a beneficio della Salerno – Reggio Calabria, vendicandosi della sconfitta elettorale di 5 anni prima. Lo stesso Prodi che, da presidente dell’Iri, andava in giro a predicare l’importanza strategica di costruire l’opera.
Il colpo di grazia lo assesta Mario Monti, un altro “nominato”, come Renzi, che alla guida del Governo potrebbe essere arrivato grazie a un’estate calda di complotti e sotterfugi ai danni di Sua Emittenza, come una vasta e autorevole bibliografia vorrebbe. Nel febbraio 2013, cancella definitivamente il Ponte dalla programmazione del Governo, predisponendo uno stanziamento di 300 milioni di euro – meno della metà di quanto attualmente quantificato – per il pagamento delle penali dovute al recesso dal contratto stipulato con il consorzio Eurolink.
A dare un contributo in termini di sostegno popolare e mediatico alla decisione dei due presidenti del Consiglio è, il 23 gennaio 2006, il corteo No Ponte che, composto da 15-20mila persone, attraversa il cuore di Messina con alla testa la strana coppia Accorinti – Francantonio Genovese. Il primo, come promotore del comitato. Il secondo, come sindaco, alla guida proprio del centrosinistra, e, soprattutto, come azionista del gruppo Caronte&Tourist. Un lievissimo conflitto di interessi, il suo, che, casualmente, non venne rilevato ai tempi, fatte salve sporadiche eccezioni.
Evidenti gli intrecci e i ricorsi storici, con il sindaco di oggi che affiancava il sindaco di ieri e contro il quale, tornando al presente, combatte una battaglia senza quartiere per l’attraversamento della città da parte dei tir. Sebbene qualcuno avanzi delle riserve in proposito. E sempre il sindaco di oggi, che ieri osteggiava la più grande infrastruttura mai pensata per il Meridione d’Italia, di recente è stato a Roma a chiedere proprio le infrastrutture che mancano per garantire la continuità territoriale. Sembra un circolo vizioso dal quale Accorinti spera di uscire con il sostegno e l’impegno di tutti. Proprio tutti. (@FabioBonasera)