Le ultime, clamorose, rivelazioni del boss pentito Carmelo D’Amico, hanno portato all’arresto di un carabiniere. Si tratta dell’appuntato 48enne Francesco Anania, nei confronti del quale il sostituto della Dda di Messina Giuseppe Verzera ha disposto l’arresto ipotizzando a suo carico anche l’aggravante dell’art. 7 della legge 203/91, ovvero l’aggravante di aver agevolato la mafia, nel caso specifico Cosa Nostra barcellonese. Il militare era in servizio di scorta fino a non molto tempo addietro anche ai magistrati della DDA di Messina, e secondo emerso dalle indagini, nascondeva armi e droga a Milazzo per conto di Cosa Nostra barcellonese.
Anche il figlio e il nipote dì Anania, Cristian e Felice, ieri sono stati arrestati: durante gli scavi in un terreno di pertinenza del carabiniere, infatti, sono state recuperate una serie di armi, 3 pistole, un fucile d’assalto ak-47 kalashnikov, di fabbricazione russa, e anche un altro fucile.
In quel frangente il figlio di Anania, il 22enne Cristian, aveva cercato di allontanarsi dall’area operativa con un quantitativo di droga, circa 200 grammi di cocaina e circa 300 grammi di marijuana, mentre il nipote di Anania, Felice, è stato bloccato per il ritrovamento dell’arsenale in contrada Bastione, a Milazzo.
La notizia è stata anticipata da Nuccio Anselmo sulla Gazzetta del Sud del 5 agosto 2014, dove ha riferito che già ieri Cristian Anania è stato sentito dal gip di Barcellona Anna Adamo, che ha la competenza territoriale, per i fatti di droga. ll gip Adamo sulle esigenze cautelari e sul quadro probatorio a carico del giovane si è espressa con un’apposita ordinanza nelle tarda serata di ieri: ha convalidato formalmente l’arresto eseguito dai carabinieri e ha disposto comunque la scarcerazione del giovane, senza disporre alcuna misura a suo carico. Più particolari si avranno probabilmente nella giornata di oggi.
Ma certamente la vicenda più inquietante è il ruolo del carabiniere, e il suo rapporto con il clan barcellonese, su cui sta indagando la magistratura.
Rivelazioni che scuotono soprattutto i familiari delle vittime della mafia del Longano: oltre a 45 casi di lupara bianca, di cui avrebbe parlato il boss pentito, che ai magistrati della DDA avrebbe confermato l’impegno del clan barcellonese a proteggere la latitanza del boss Nitto Santapaola. Una protezione che sarebbe costata la vita al giornalista de La Sicilia Beppe Alfano, sul cui omicidio stanno emergendo nuovi particolari rivelati da D’Amico. Il giornalista, infatti, potrebbe essere stato ucciso per aver scoperto il rifugio barcellonese di Santapaola.