Pagine e pagine di verbali. Vuota il sacco il boss 43enne Carmelo D’Amico, indiscusso capo di Cosa nostra barcellonese, che da diverse settimane ha deciso di raccontare ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Messina tutto quello che sa sulla criminalità della zona tirrenica di cui lui è stato braccio armato.
Un pentimento che non fa dormire sonni tranquilli a chi in questi anni lo ha affiancato e che apre nuovi spiragli per chiudere il cerchio su importanti episodi di lupara bianca: è iniziata infatti anche una campagna di scavo sul torrente Patrì nel territorio di Rodì Milici, dove secondo le indicazioni di D’Amico, si troverebbe un cimitero di mafia dove sarebbero stati sepolti i morti ammazzati sin dagli anni 90.
Si andrà avanti a scavare sino a San Filippo del Mela e le zone di campagna e le colline che sovrastano Barcellona Pozzo di Gotto e Terme Vigliatore. Le operazioni sono coordinate dai sostituti procuratori della Dda di Messina Vito Di Giorgio, Angelo Cavallo, Giuseppe Verzera e Fabrizio Monaco,e condotte dalla polizia del Commissariato di Barcellona al comando del vicequestore aggiunto Mario Ceraolo, dai carabinieri del Ros (Raggruppamento operativo speciale) di Messina al comando del capitano Gabriele Ventura, dai carabinieri del Ris (Raggruppamento investigazioni scientifiche) di Messina diretti dal colonnello Sergio Schiavone e dai carabinieri della Compagnia di Barcellona Pozzo di Gotto al comando del capitano Filippo Tancon Lutteri.
Dopo un paio di anni al carcere duro e le condanne riportate in diversi procedimenti, dall’operazione Pozzo all’operazione Gotha, il boss ha deciso di seguire la strada iniziata dal’ex capo dei mazzarroti Carmelo Bisognano e da Salvatore Campisi, ex capo emergente della cosca di Terme Vigliatore.