Il consiglio comunale, riunitosi oggi per una seduta ordinaria, ha affrontato la questione inerente la soppressione del Tar di Catania, come proposto dalla consigliera Antonella Russo.
L’urgenza di discutere l’argomento, secondo la proponente, risiedeva nell’esigenza di assumere una posizione giacché la Giunta si dovrebbe pronunciare in settimana e, da lì, la richiesta passerà direttamente al Presidente della Repubblica.
Il ruolo strategico del Tribunale Amministrativo etneo sarebbe evidente dal fatto stesso che vi sono più cause iscritte al ruolo rispetto a quelle del Tar di Palermo, come più volte sottolineato dai vari attori della scena politica siciliana (e non: anche la Lega si è opposta) nelle ultime settimane, all’indomani della soppressione voluta dal Governo Renzi, con un decreto che ha molto fatto discutere. Uno degli articoli del dl sulla Pubblica Amministrazione, prevedeva infatti la chiusura dei battenti delle sezioni distaccate dei tribunali amministrativi, nella logica della tanto decantata spending review. Interessante guardare ai numeri della “grande eccezione”, perché tale si connota la sede catanese, dove i ricorsi pendenti sarebbero 54.445, allo stato attuale. Tecnicamente, il Governo avrebbe dovuto prevedere il trasferimento di questo popò di lavoraccio alla sede centrale di Palermo (dove, tra l’altro, il numero dei contenziosi da esitare è nettamente inferiore).
Cosa c’entri il Consiglio Comunale di Messina è presto detto.
In realtà l’esigenza di dire la propria in merito alla faccenda, da parte del civico consesso, sembra avere un senso prettamente politico. Da dopo l’approvazione -in commissione giustizia- dell’emendamento che prevede il mantenimento delle sedi distaccate laddove vi sia una Corte d’Appello, infatti, la mobilitazione dell’ Anci “ si è attenuata”, spiega il consigliere Piero Adamo, il quale, pur avendo votato favorevolmente la proposta della collega del gruppo misto, non manca di evidenziare un aspetto singolare. Si tratterebbe, ai piani alti, di una manovra targata Pd: “i membri di questo partito, che poi è lo stesso del Governo schizofrenico e demagogico, in commissione giustizia, hanno fatto approvare l’emendamento che fa sostanzialmente un riferimento chiaro alla città di Catania. Qui vediamo ancora una volta il peso politico di Enzo Bianco. Siamo lieti sia così, per una volta, ma non possiamo non far constare che si è trovato un criterio oggettivo solo per salvare il Tar di Catania”.
Data la modifica verranno cassati solo i tar di Latina Pescara e Parma, pertanto è logico chiedersi se vi fosse tanta imminenza nel votare la proposta oggi a Messina.
Già che ci siamo, però, una nota di “colore” vogliamo darla circa la faccenda in oggetto. Se il problema è la spending review e se i politici di casa nostra sono così attenti alla spesa pubblica affinchè non leda i cittadini, onesti contribuenti i cui diritti non vanno violati, ci si consenta di segnalare un articolo pubblicato su “Il Corriere della Sera” del 2 luglio scorso.
Proprio il Tribunale Amministrativo etneo era oggetto del pezzo firmato da Sergio Rizzo. Nel quotidiano si riportava un’anomalia tutta catanese. Dopo la decisione dei vertici della magistratura amministrativa di “chiudere i rubinetti a certe consulenze affidate ai dipendenti dello stesso ufficio”, gli stessi giudici del Tar hanno ritenuto di operare una bella “sconfessione” della stessa con (udite udite che solerzia!) “ben 12 sentenze tra aprile e maggio.
Il presidente (ora ex) Biagio Campanella e gli altri due componenti del collegio, Dauno Trebastoni e Maria Stella Boscarino, non hanno avuto dubbi nel considerare inapplicabile il divieto di distribuire incarichi retribuiti in qualche caso anche lautamente ai dipendenti”, si legge nell’articolo.
Gli incarichi in questione sarebbero stati quelli di commissario ad acta, necessari per fare eseguire le singole sentenze. Praticamente la logica (alla sottoscritta tanto simpatica) degli “spingitori di cavalieri”, per dirla alla Guzzanti. Rizzo spiega che si tratta di “una patologia della nostra giustizia che viene curata con una patologia ancora più grave. Quando un’amministrazione sanzionata dal Tar non applica per qualche ragione (oscura o meno) una decisione del tribunale che la riguarda, viene allora nominato dal giudice un commissario che ha il compito di obbligare il soggetto pubblico a rispettarla”. Ma chi controlla i controllori? Nessuno e infatti, precisato che questi signori sono scelti tra gli stessi dipendenti del tribunale e che essi non sono magistrati ma, di solito, “impiegati con al massimo la licenza di scuola media superiore”, questi percepiscono anche compensi di una certa importanza e a pagare è, chiaramente, sempre l’erario. Si pensi che in 3 anni, il Tar di Catania ha distribuito circa 150 consulenze di questo genere (in un caso “divertente”, commissario ad acta è stato nominato l’autista di un giudice). E’ stato stimato che sette dipendenti abbiano intascato più o meno 197.000 euro e un “fortunato” sarebbe arrivato, da solo, a 120.000.
Non si pensi che le istituzioni siano rimaste a guardare. La Legge Severino, ad esempio, obbliga le amministrazioni pubbliche a prevedere un piano anticorruzione e il Consiglio di Stato ha deciso di inserirvi anche il divieto di proseguire con questa pratica quantomeno abietta. Anche il presidente del suddetto Consiglio di Stato avrebbe operato dei solleciti ma, come si suol dire, non ha fatto tremare le gambe a nessuno.
Detto questo, ci permettiamo di evidenziare come quello di revisione della spesa dovrebbe essere un concetto atto ad evitare sperperi e non a privare i cittadini dei propri diritti fondamentali (tra cui quello alla giustizia). Ergo, ai nostri diligenti rappresentanti (a tutti i livelli, giacché se ne occupa con interesse anche il locale consiglio comunale) rivolgiamo l’invito a difendere sì il Tribunale Amministrativo ma altresì a pretendere che quegli stessi magistrati – nelle mani dei quali c’è la giustizia tout court – la tutelino anziché lederla nel laissez fair generale di chi guarda e tace. (@Eleonora.Urzì)