Le cronache odierne riportano di appena 9 consiglieri comunali su 40 disposti ad affrontare la questione della vita: l’attraversamento di Messina da parte dei Tir e la volontà della Giunta capitanata da Renato Accorinti di risolvere una volta per tutte questo sconcio planetario. Undici sono stati i contrari, ovvero coloro che non hanno voluto anticipare la questione comunque prevista all’ordine del giorno. Sempre 9 gli astenuti. Ma si sa che non esprimersi, in questi casi, equivale a un diniego.
Le cronache riferiscono pure che i componenti dell’assemblea cittadina, subito dopo, hanno mutato radicalmente atteggiamento, acconsentendo a un altro prelievo – nemmeno si trattasse davvero di sangue, considerata la loro parsimonia – quello di un altro atto di indirizzo la cui trattazione si sarebbe dovuta tenere più avanti nel tempo: la chiusura della sezione staccata del Tar di Catania. Calamità capace di togliere il sonno perfino agli abitanti della Patagonia.
Non a caso il provvedimento è passato con ben 25 “sì” e appena 2 “forse”. Un atto di coraggio senza precedenti a sud del Polo Sud.
Di fronte a tutto questo, i commentatori più autorevoli e gli elettori più esigenti hanno reagito allo stesso modo: sudando freddo. Gli stessi commentatori e agli stessi elettori hanno non di meno arguito che, alla fine della fiera, la differenza tra Tir è Tar è minima. Una vocale.
Da qui l’ovvia deduzione: il peso delle responsabilità grava da ormai un anno come un macigno su questi poveri consiglieri comunali, al punto da annebbiare loro la vista e comprometterne l’udito. Per non parlare delle pessime abitudini ormai sedimentate nel loro quotidiano. La colpa è sempre di qualcun altro – una volta di Accorinti, una volta dell’isola pedonale, un’altra ancora di Alessio Ciacci – al punto da essersi dimenticati che l’ultima parola su qualunque decisione dell’istituzione chiamata Comune spetta a loro. Al Consiglio, all’organo eletto dai cittadini.
Ma anche in questo caso, la colpa è certamente da attribuire allo stress. Stress che toglie lucidità, che ribalta ogni certezza. E fa a pugni con la verità. Chiunque, una volta almeno nella vita, ha detto una parola per un’altra. Quanti, davanti all’altare, hanno detto “sì” pur essendo convinti di dire “no”? O magari di astenersi? Quanti avrebbero voluto andare al mare invece che a male? Per non parlare di quegli uomini d’affari che vorrebbero andare in un paradiso tropicale e distrattamente si ritrovano in un paradiso fiscale. O a una meta esotica ne preferiscono, per puro errore, una erotica.
C’è chi vorrebbe rimediare un bacio e si prende il bario, chi vorrebbe essere amata e risulta solo amara. L’esistenza, è inutile negarlo, spesso è appesa ai dettagli. Talvolta all’ortografia. Una vocale o una consonante ti cambiano la vita.
Così può succedere che sei convinto di parlare di Tir mentre stai votando per il Tar. Ma avviene per puro caso. Si sarebbe potuto parlare perfino di Tur, comune della Repubblica Ceca che con Messina ha più o meno la stessa attinenza di Catania. O di Thor, il dio vichingo del tuono. Tanto la “acca” è muta e non conta.
Certo, quando capisci che hai sbagliato ti prenderesti a schiaffi. E ci stai male. La frequenza cardiaca è irregolare. Tremi. La salivazione è azzerata. Sei seduto sullo scranno più importante della città e maturi la piena consapevolezza che il destino di quasi 250mila persone dipende da te. E questo peggiora la situazione. L’unico tuo vero obiettivo è ritornare in te, guarire da questa terribile malattia. L’unica cosa che desideri davvero, tu umile e sovraccarico consigliere comunale, è rimetterti. Mentre la città, per una impercettibile e ininfluente consonante, ritiene che debba più semplicemente dimetterti.
Se son rose… arguiranno. (@FabioBonasera)