Un anno fa la gente festeggiava l’inattesa vittoria del sindaco Accorinti, accompagnato a Palazzo Zanca da una moltitudine di messinesi festanti, giovani soprattutto, assieme ai tanti rappresentanti di quelle fasce più deboli, che in un momento di reazione (che in tutta Italia si è manifestato portando in parlamento il Movimento 5 Stelle) desideravano cancellare con un colpo di spugna la vecchia classe politica.
I potentati della città quella sera non erano in piazza. Tantomeno lo solo adesso, che questa “non vicinanza” la ostentano. Lo abbiamo visto questo sindaco, che sapeva di non poter contare sul sostegno dei poteri forti (ricordo la “sua” prima inaugurazione dell’anno giudiziario e la querelle con il Grande Oriente d’Italia) e che un anno dopo ritroviamo solo, in prima fila, alla cerimonia del Vascelluzzo. Un segnale inquietante, che bisognerebbe leggere come un primo risultato di quel cambiamento che non è alla vista di tutti: è una rivoluzione culturale che passa dalla corresponsabilità richiesta fin dal giorno dell’insediamento, una condizione di solitudine politica che oggi si manifesta nella presa di distanza fisica.
E se Accorinti non pretendeva certo di avere dalla sua i “potenti” (pensiamo alle carte in Procura per Messinambiente, al tentativo ancora in corso di frenare l’arroganza imprenditoriale dei traghettatori, di fare ordine nei conti del Comune, alle minacce all’assessore Cacciola e all’auto incendiata dell’esperto Termini) di contro si è affidato alla gente, rischiando di essere vittima della sindrome di Barabba.
Vittorini raccontava che durante il traghettamento riusciva a sentire il vociare della gente di Messina, e nel 1941 in Conversazioni in Sicilia scriveva “…-Messina- disse con lamento una donna; e fu una parola detta senza ragione; solo una specie di lagnanza…” . La lamentela, quindi, è una caratteristica antropologica che la crisi ha notevolmente imbarbarito nei toni.
Ed ora ai tempi della collera, dell’impunità sul banco degli imputati e che ha portato il pensiero dominante ad un giustizialismo estremo, il valore delle parole di Accorinti quando parla di default culturale sono terribilmente e pericolosamente pregne di significato.
Un anno fa chi godeva di quei piccoli privilegi che erano alla base di ogni consenso elettorale è rimasto deluso. E sono tanti.
Ad Accorinti, dopo un anno, non chiediamo di cambiare strada, ne di voltarsi indietro. Ma di guardare con coraggio in avanti, e soprattutto di guardarsi attorno: spesso gli errori strategici di cui paga personalmente le conseguenze sono frutto di cattivi consiglieri, di improvvisati a cui non basta la buona volontà e di cui con coraggio dovrebbe cominciare a dubitare.
Nel frattempo ci concederemo quei 365 passi nell’isola pedonale, accanto a questo Sindaco che può permettersi di incontrare il Papa a piedi nudi, che ha la credibilità di poter invitare il Dalai Lama, che ha il merito di farci sentire meno provinciali, di rappresentare questa città nei contesti più avanzati del pensiero critico, dando voce a quelle istanze che sebbene possono sembrare velleitarie sono assolutamente coerenti con la ricerca di nuovi modelli di sviluppo economico e sociale che cercano di rispondere al fallimento che ha impoverito non solo finanziariamente la vecchia Europa, in un percorso politico e culturale di cui i potenti del mondo hanno paura. (@palmira.mancuso)