Spagna eliminata, un Paese intero sotto shock. Sembra passata un’eternità, non 25 giorni, da quando si celebrava il predominio assoluto del calcio iberico, che con Siviglia e soprattutto Real aveva centrato il doblete Europa-Champions League, in quest’ultimo caso portando addirittura in finale le due squadre di Madrid, abili e fortunate le Merengues fino a levare al cielo l’agognata Décima a discapito dei cugini dell’Atletico.
Questi, invece, sono i minuti degli epitaffi che presto lasceranno il campo ai processi: per effetto della sconfitta maturata contro il Cile nel derby rojo, il Mondiale delle Furie Rosse campioni di tutto è già finito, non ci stupiremmo se Fiorello e la sua claque, dopo aver omaggiato gli inglesi con Gol save the Queen, nelle prossime ore proponessero un remake della malinconica Cinque giorni zarrilliana, tanto è durata la spedizione spagnola nella terra del samba e del fútbol bailado.
Per la terza volta nelle ultime quattro edizioni la detentrice della Coppa non riesce a superare il girone: era toccato a noi in Sudafrica, quattro anni fa, ed alla Francia di Zizou Zidane in Giappone e Corea nel 2002. Le motivazioni? Come sempre il cocktail letale generato da sindrome di appagamento ed errate valutazioni in sede di scelta dei ventitré, condizionate da un’ossequiosa riconoscenza nei confronti del gruppo che aveva precedentemente trionfato.
Vicente Del Bosque resterà negli annali come primo, e sinora unico, tecnico nella storia del calcio ad essersi laureato campione d’Europa e del Mondo sia a livello di club (con il Real, ai tempi della prima gestione galáctica di Florentino Perez) che di Nazionali, dopo l’alloro iridato era infatti arrivato il trionfo europeo del 2012 contro l’Italia, a coronamento del triplete da urlo inaugurato ad Euro 2008 dal compianto Luis Aragonés.
Adesso però ci sta che il baffuto Ct finisca sul banco degli imputati: non è riuscito a sfruttare al meglio le forze a sue disposizione, ignorando il declino di parte del nucleo Barça e di Iker Casillas, sbeffeggiato in diretta planetaria dalla sfrontata Olanda di Van Gaal, che invece il pass per gli ottavi l’ha già staccato al pari di Vidal e compagni. Il simpatico santone di Salamanca ha dato fiducia ad un Diego Costa comprensibilmente in affanno dopo essere stato spremuto – e inopinatamente rischiato a ripetizione – da Diego Simeone, che comunque il suo obiettivo principale, riportare la Liga al Vicente Calderon spezzando lo storico duopolio, è riuscito a centrarlo.
Oltretutto in avanti erano stati già tagliati sia Negredo che lo juventino Llorente a beneficio dell’ectoplasma Fernando Torres che da anni imperversa funesto, e con pochissimo costrutto, nelle aree di rigore avversarie. In mezzo al campo è finita l’era dei palleggiatori da tiki taka guidati da Xavi, che sembra ormai in procinto di andare a svernare in Qatar, ma in generale tutta la squadra (non) ammirata nei due match mundial è parsa lontanissima parente di quella che aveva incantato con pieno merito ad ogni latitudine in epoca recente, tenendo presente che anche le scorie dell’impegnativa stagione agonistica hanno inciso parecchio sul clamoroso flop.
Il campionato del Mondo perde quindi subito, a dispetto dei ragionevoli pronostici, una delle protagoniste più attese: da Campeón a Cabrón, l’inesorabile parabola della Spagna adesso prevede l’ultima, ininfluente sfida del 23 giugno con l’Australia, dopo di che sarà tempo di imbarcarsi sull’aereo dell’humillación. Per il check-in, però, è già tutto pronto.