E’ scattata stamani, alle prime luci dell’alba, l’operazione di polizia denominata Clone, che ha consentito l’arresto di 5 individui per associazione a delinquere a Messina ed in provincia, tutti accomunati da una stretta collaborazione nel commettere reati ormai in atto da anni. Una vera e propria “società del malaffare”, coordinata da elementi di spicco per capacità organizzativa e caratterizzata dalla commissione di una serie ragguardevole di reati, spesso isolati e sporadici, altri reiterati con costanza e abilità.
I provvedimenti di misura cautelare scaturiti dall’attività di indagine, che vede indagate complessivamente 14 persone, sono stati emessi dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Messina, Monica Marino, su richiesta del sostituto procuratore Federica Rende. Sono finiti in carcere Salvatore Ferrara, 39enne di Milazzo; Luca Lo Turco, 21enne originario di Monki, in Polonia. Arresti domiciliari per Silvio Santoro, 68enne di Santa Teresa di Riva; Caterina Bitto, 31enne di Messina; Angela Augliera, 21enne, sempre di Messina.
L’associazione a delinquere contestata a tutti i destinatari dell’ordinanza era volta all’attuazione di reati – furto, truffa, ricettazione, incendio, riciclaggio, appropriazione indebita, falsità materiale, sostituzione di persona – con un unico denominatore: facili e rapidi guadagni.
Le indagini, attivate nel gennaio del 2012, hanno preso piede da singole denunce di furto, spesso di autovetture, e da isolati casi che avevano portato alla denuncia in stato di libertà per ricettazione di alcuni soggetti. Nel febbraio del 2012, infatti, furono proprio gli agenti delle Volanti a denunciare per ricettazione uno dei soggetti destinatari di misura cautelare. In quel caso, l’uomo era stato beccato con un’auto rubata e piazzata successivamente su internet per un nuovo acquirente.
Il lavoro paziente dei poliziotti ha permesso nel tempo di collegare episodi a prima vista estranei tra loro, verificatisi in piccoli centri della provincia messinese e spesso di media rilevanza criminale.
L’ambito in cui più spesso il personaggio a capo del sodalizio, allo stato irreperibile, e gli affiliati, scelti volta per volta, operavano, era quello automobilistico. Nel mirino del gruppo c’erano le società di noleggio auto sparse un po’ ovunque: Antillo, San Filippo del Mela, Linguaglossa e diverse altre località delle coste ionica e tirrenica dove auto di differenti marche e cilindrata venivano noleggiate. Una volta stipulato il contratto, scattava il raggiro che il più delle volte consisteva nel simulare il furto del veicolo con tanto di denuncia. In tal caso ci si avvaleva della collaborazione di agenzie di disbrigo pratiche automobilistiche compiacenti per nuove targhe ed immatricolazione. Si passava quindi al restyling dell’auto: eliminazione di qualsiasi logo che potesse ricondurre il mezzo alle società di noleggio, bonifica e sostituzione di parti meccaniche. A quel punto l’auto “clonata” era pronta per essere immessa sul mercato.
Altro sistema era quello di noleggiare l’auto con falsi documenti. Bastava rendersi irreperibili e scomparire per poi con calma rivendere il veicolo ripulito. Il gruppo non disdegnava di rendersi autore di furti. Principale obiettivo erano, anche in questo caso, mezzi di ogni tipo, ma la merce da trafugare poteva variare: registrato dai poliziotti anche il furto di una ventina di computer all’interno di un istituto scolastico nel giugno del 2012, ritrovati dalla Polizia in casa dei tre autori del furto, tra cui Santoro e Ferrara, poi riconsegnati, nonché quello ai danni di un chiosco nel marzo del 2012. In quest’ultima occasione furono razziati un televisore, un impianto stereo, una penna Usb, un decoder, denaro in contante nonché gomme da masticare e barre di cioccolata.
Il raggiro dei falsi documenti e di titoli bancari scoperti funzionava bene anche per l’acquisto fraudolento di telefoni cellulari di ultima generazione nonché di gioielli. Infatti, gli indagati si presentavano in alcune gioiellerie e, millantando il possesso di ingenti quantità di denaro, riuscivano ad ottenere oggetti in oro pagati con assegni, naturalmente privi di copertura. Gli oggetti venivano poi rivenduti ad alcuni compro oro ed il ricavato spartito tra i complici.
Ai poliziotti è toccato il compito di mettere insieme i piccoli pezzi del puzzle e ricollegare eventi e persone.
Il caso ha, a volte, aiutato i poliziotti nelle indagini come quando ad esempio un rilevatore satellitare di ultima generazione troppo piccolo e difficile da individuare ha costretto i truffatori ad abbandonare un’automobile; o ancora quando uno dei malviventi ha perso il portafogli all’interno di un’auto rubata e poi rinvenuta. Le denunce in stato di libertà di alcuni dei componenti, durante l’attività di indagine, come nel caso dei computer rubati, hanno destabilizzato il gruppo e fatto nascere sospetti e sfiducia, costringendo i leader a tranquillizzare gli affiliati e farli riprendere a “lavorare”. Poco dopo, su commissione, la banda accetterà di incendiare due autovetture in cambio di denaro.
Le intercettazioni hanno, infine, confermato quanto intuito nelle indagini. Ruoli nel sodalizio e modus agendi emergono chiari nella descrizione di un’organizzazione che pensava a tutto, dal modo di eliminare eventuali loghi con un po’ di benzina dalla carrozzeria dell’auto alla presentazione del mezzo al nuovo acquirente. Non si poteva fumare ad esempio all’interno dell’abitacolo perché il cattivo odore ne avrebbe inficiato il valore. Una buona conoscenza informatica, confermata dai raggiri sui principali siti di vendita online e social network, completa il profilo multitasking del gruppo.