Avrebbe istigato al sabotaggio della Tav. Per questa ragione, Erri De Luca, oggi, a Torino, sarebbe dovuto comparire, ma non l’ha fatto, davanti al giudice dell’udienza preliminare. Come riporta il sito online de la Repubblica, l’udienza è stata aggiornata al prossimo lunedì. In suo favore, in ogni caso, è stato firmato un appello da parte di “diversi intellettuali”. Così li definisce il giornale diretto da Ezio Mauro. Tra questi vengono citati Fiorella Mannoia, cantante, Luca Mercalli, meteorologo, Alex Zanotelli, padre comboniano. La stessa rete si è sollevata in suo favore, o almeno parte di essa, con appelli provenienti da Lione, Berlino, Londra, come ricorda Messina Ora nel puntuale articolo di Clarissa Comunale di questa mattina.
Pare che lo scrittore, anche lui intellettuale, abbia affermato che “il sabotaggio” sia “l’unica alternativa”. In linea con il proprio stile.
Come ha annotato, nel proprio blog dal titolo Retropensieri, Lanfranco Vaccari, già giornalista del gruppo Rcs e direttore fino al 2009 del Secolo XIX, nell’aprile 2012, nel corso di un’intervista a Otto e Mezzo, su La7, lo stesso De Luca, vantandosi di aver fatto parte “dell’ultima generazione rivoluzionaria del ’900”, ha detto che quelli ’70 e ’80 “saranno stati anni di piombo per gli idraulici che ancora facevano gli scarichi con quel materiale”. Ha aggiunto che “la violenza è stata una forza promotrice del miglioramento di miriadi di masse umane”. E che “il terrorismo è quello di piazza Fontana, di piazza della Loggia a Brescia, quello che aveva collusioni con poteri dentro lo Stato e che è stato assolto”. Sulle Brigate Rosse, niente da eccepire.
Tra coloro che, evidentemente, hanno contribuito al “miglioramento di miriadi di masse umane”, e probabilmente ne avrebbero fatto volentieri a meno, Luigi Calabresi e i suoi congiunti. Dell’omicidio del commissario di polizia sono stati condannati in via definitiva Ovidio Bompressi, Leonardo Marino, Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri, tutti esponenti di Lotta Continua. De Luca è stato il responsabile del servizio d’ordine della celeberrima formazione della sinistra extraparlamentare, in vita a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, la quale sul proprio organo di propaganda fomentò a lungo le piazze, dopo la morte dell’anarchico Pino Pinelli – avvenuta il 15 dicembre 1969, in circostanze ancora oggi misteriose – istigando all’uccisione di Calabresi, registratasi il 17 maggio 1972, a Milano.
È facile osservare che la parola istigazione è ricorrente. Al pari di intellettuale.
Quel che più colpisce di Lotta Continua, movimento rivoluzionario, alternativo al potere, allo Stato, è che, oggi, i suoi pezzi migliori di allora sono tutti posizionati in ruoli strategici della società, soprattutto nell’ambito dell’informazione. Gad Lerner, Paolo Liguori, Toni Capuozzo, Giuliano Ferrara, Franco Mannheimer, Giampiero Mughini, solo per citarne alcuni. Sono talmente integrati nella società che tanto hanno contestato, da aver dato adito a sospetti circa l’esistenza di una autentica lobby di Lotta Continua. Ovviamente ne fanno parte anche l’intellettuale De Luca e Sofri, il quale vive l’ergastolo molto liberamente, fa l’opinionista da sempre proprio su la Repubblica e ha allargato i benefici di questa perfetta integrazione nella società ai propri discendenti e affini.
Certo, le cronache odierne parlano di un’Italia messa anche peggio di quella di allora. Cosa sarà mai cambiato, perché questi signori siano passati dalla lotta a salotto? E perché mai fare scontare le pene dell’inferno a un commissario di polizia che di Pinelli era perfino amico, come conferma uno dei suoi figli, Mario Calabresi, nel bellissimo libro Spingendo la notte più in là? Sì, perché il commissario Calabresi aveva una moglie, dei figli. Uno di loro, Mario, stimatissimo giornalista, ha lavorato anche per la Repubblica, fatalmente lo stesso quotidiano in cui scrive Sofri, prima di diventare direttore de La Stampa. Un altro, Paolo, è attore e ha interpretato proprio la parte di Pinelli in una recente fiction andata in onda sulla Rai.
La moglie del commissario, Gemma, qualche tempo fa, tornata dopo tantissimi anni in via Cherubini, dove il marito fu ucciso, a pochi metri dalla casa in cui vivevano, ha confessato proprio a la Repubblica di aver pregato per le famiglie di Massimo D’Antona, di Marco Biagi, di Nicola Calipari e di Filippo Raciti, “perché so che cosa succede a quelle mogli e a quei figli”.
Eppure, la spirale di violenza non accenna a placarsi. Ezio Mauro, in passato, ha testimoniato i metodi schizofrenici con cui le Br, all’epoca, reclutavano la manovalanza. Si sceglieva un obiettivo – lo stesso Mauro fu pedinato a lungo e, infine, graziato a sua insaputa – e lo si terminava. Anche senza motivo. Senza pensare che dietro a quelle persone ammazzate per sempre potessero esserci esseri umani. E altre persone ancora che le amavano, che della loro presenza avrebbero avuto bisogno.
Caro De Luca, tu, che non ti sei mai pentito di tutto questo, 40 e passa anni dopo continui a istigare la gente. Ti basterà mai tutto questo male intorno? Continui a fregiarti del titolo di intellettuale. Intellettuale come quei 757 che firmarono, nel 1971, la lettera aperta pubblicata da l’Espresso contro il commissario Luigi Calabresi. Intellettuale come la Mannoia, una cantante. Come Mercalli, un meteorologo. Come Zanotelli, uno spirituale. Ma un simile aggettivo non lo si nega a nessuno, nemmeno a chi sa fare le parole crociate o rispondere agli indovinelli.
E saranno pure tutti intellettuali quelli che in rete inneggiano alla tua libertà. Fatto sta che con tutta questa intellettualità ci siamo dimenticati di cosa sia l’umanità.
Se son rose… istigheranno.