«Occorre un protocollo d’intesa che permetta la creazione di una rete tra comunità. Senza, non potremo mai dare risposte soddisfacenti ai minori collocati in strutture non idonee». A suggerire questo rimedio, destinato a far fronte ai bisogni dei migranti – soprattutto donne e minori, le cosiddette categorie protette, che sbarcano a Messina – è Clelia Marano a parlare. L’esperta del Comune è intervenuta ieri pomeriggio, nel salone delle Bandiere di palazzo Zanca, al seminario di aggiornamento professionale dei giornalisti. Tema, “Migranti e non più clandestini: l’informazione dopo la Carta di Roma”. Il suo auspicio, la creazione di «un sistema integrato che permetta alle comunità di parlarsi, di far sapere tempestivamente dove esistono posti disponibili per l’accoglienza», all’arrivo dell’ennesima nave della speranza.
Dura la realtà in cui si imbattono gli operatori del settore. Sono molti coloro che fuggono dalla guerra, molti coloro che, per sopravvivere, devono staccarsi dalla madre, dal padre: «Diversi bambini – racconta, per esempio, riguardo ai siriani – quando arrivano qua vengono a sapere che i genitori sono morti. Si tratta di piccoli già traumatizzati dalla permanenza per sei mesi, un anno, nei campi della Libia. Autentici lager. Lì subiscono privazioni, violenze. Anche sessuali, nel caso delle donne».
I volontari reclutati dal Comune hanno pochissimo tempo per attrezzarsi, quando al porto è in arrivo una nuova nave. Spesso le informazioni che giungono sul numero di minori da accudire sono sbagliate e occorre fare scelte difficili. Occorre scegliere tra chi portare con sé e chi abbandonare al proprio destino: «Il Comune – aggiunge Marano, svelando retroscena ai più ignoti – viene convocato al massimo tre ore prima dell’arrivo di nuove imbarcazioni e, spesso, le notizie sul numero dei minori a bordo sono imprecise. C’è pochissimo tempo per organizzarsi. Nell’ultimo sbarco, sebbene si trattasse di una nave della Marina militare, la Prefettura ha detto che era compito dell’amministrazione comunale provvedere. Molti ragazzi mentono sull’età, dichiarandosi maggiorenni. Occorrerebbe attrezzarsi con l’analisi dei polsi».
La prima fase dell’accoglienza è quella umanitaria. E profondamente umano sono il senso di sbandamento, la frustrazione, il dolore, davanti agli sguardi di questi ragazzini: «Lo capisci subito se provengono da Paesi come il Mali o il Senegal, in cui si soffre la fame, o dalla Nigeria, dal Ghana, dalla Siria, dove c’è la guerra. Hanno occhi diversi».
Messina è ormai satura e non riesce ad accogliere tutti. Per questa ragione, il Comune sta concordando l’accoglienza con strutture di Milazzo, Barcellona: «Loro hanno bisogno di noi – ammonisce – hanno bisogno che li accompagniamo nel loro progetto, che li aiutiamo a realizzare le loro reali aspettative. Il loro viaggio deve continuare. Non possono rimanere chiusi in un campo per sei mesi». Purtroppo, Marano è costretta a rilevare che «alcune figure istituzionali, e non parlo del prefetto», precisa con riferimento alla polemica tra l’assessore Nino Mantineo e Stefano Trotta, «andrebbero estirpate come la malerba». «I controlli sanitari al molo – fa notare – dovrebbero essere davvero tali, per verificare innanzitutto che queste persone non abbiano la tubercolosi. Una volta ci è stato detto di non disporre della strumentazione adatta e poi abbiamo scoperto che non era così. Ci siamo imbattuti pure in una persona con la scabbia. Dall’ospedale ce l’hanno rimandata indietro, dicendo che non andava ricoverata ma isolata».
Infine, un ringraziamento per il loro supporto al movimento Cambiamo Messina dal Basso, alla Comunità di Sant’Egidio, alle suore dello Spirito Santo «che hanno aperto le proprie porte senza se e senza ma».