Perseguitare il proprio ex non ha “diversità di genere”. Numerosi sono infatti i casi di donne che non accettano la fine di una relazione, e commettono esattamente le stesse azioni persecutorie compiute dagli uomini. E con lo stesso risultato: quello di finire in manette. Così una giovane messinese dovrà rispondere al giudice degli atteggiamenti persecutori emersi dal lavoro dei Carabinieri a seguito della denuncia da parte della vittima, spesso l’ultimo atto utile a porre un freno a quel morboso desiderio di riallacciare una relazione ormai esaurita.
Dalla fine del rapporto avvenuta qualche mese fa, la giovane si è infatti resa responsabile di numerosi episodi di tipo persecutorio, costringendo la vittima ad alterare ripetutamente le proprie abitudini di vita. Classico atteggiamento tenuto dalla ragazza era, infatti, seguire il suo ex dal proprio domicilio al posto di lavoro, nonché vessarlo con continue e ripetute telefonate sull’utenza fissa del posto di lavoro: basti pensare che il numero di telefonate nell’ultimo mese si aggirava a circa 1.000. Tutto questo aveva portato la vittima a temere una escalation e quindi a richiedere l’intervento dei Carabinieri.
La vicenda trae avvio dall’inizio di quest´anno ma gli episodi erano divenuti nell´ultimo mese sempre più frequenti e ormai sufficienti a ipotizzare l´ipotesi del grave reato di atti persecutori.
Così nella serata del 4 aprile 2014 i Carabinieri della Stazione di Messina Arcivescovado hanno arrestato una ventiduenne residente nel comune di Messina e su disposizione dell’Autorità Giudiziaria accompagnata presso il proprio domicilio in attesa dell’odierno rito direttissimo. La giovane è stata sottoposta alla misura restrittiva in quanto ritenuta responsabile del reato di atti persecutori, tristemente noti oggi con la terminologia inglese di stalking, poiché con condotte reiterate aveva causato alla vittima, alla quale era stata legata da relazione sentimentale, un perdurante e grave stato di ansia e di paura.
A margine della notizia di cronaca non può che evidenziarsi un aspetto sociologico, considerata la giovane età della protagonista. Che a 22 anni non si riesca a gestire la fine di una relazione è grave, e questo non è l’unico caso di giovanissimi (basta ricordare l’ultimo episodio registrato a Messina). Un dato che dovrebbe far riflettere sul ruolo di una genitorialità sempre meno capace di trasmettere sicurezza nell’affrontare gli alti e bassi, le delusioni, che in un adolescente possono essere grossi macigni che inevitabilmente, come in questi casi, compromettono il futuro. Un tempo c’erano spalle su cui piangere per inevitabili pene d’amore, possibile che oggi ciascuno è sempre solo col proprio dolore?(@palmira.mancuso)