Fede calcistica a parte, in tanti si aspettavano una sconfitta della Juve orfana di Tevez a Napoli, così da cospargere una spolverata di pepe su un piatto scudetto ormai divenuto insapore, e la caduta degli dei alle falde del Vesuvio – ad oltre 5 mesi dall’unico precedente stop di Firenze – si è puntualmente verificata. Per comprenderne la portata, in termini consequenziali, occorrerà attendere mercoledì quando la Roma inseguitrice recupererà all’Olimpico la gara con il Parma, sospesa lo scorso 2 febbraio per impraticabilità di campo. Se i giallorossi dovessero vincere, il gap dalla vetta si assottiglierebbe a 8 lunghezze e i bianconeri, a sette partite dalla fine, dovrebbero gestire un margine meno rassicurante di quello vantato nell’ultimo mese. A maggior ragione se si considerano due fattori: lo scontro diretto in programma alla penultima nella capitale e, soprattutto, il differente dispendio energetico dal momento che la capolista è ancora impegnata in Europa League, mentre la banda Garcia potrà concentrarsi esclusivamente sul campionato. È vero che la situazione non è cambiata rispetto ad inizio stagione, ma in primavera smaltire le tossine risulta ovviamente molto più complicato.
Lo si é notato ieri nel posticipo del San Paolo, che ha visto gli uomini di Antonio Conte soccombere meritatamente, malgrado il gol del vantaggio realizzato da Callejon fosse da annullare per fuorigioco. Troppi elementi sulle gambe, manovra d’un tratto apparsa prevedibile e lenta. Solo una serata storta? Giovedì a Lione la prima controprova. Il popolo partenopeo ha chiuso festante, in sede di commento sia Benitez che De Laurentiis hanno dato il là alla fiera dei “se” chiacchierando sulle differenze di fatturato con Madama. Ma la realtà dice che, vittoria di prestigio a parte, gli azzurri hanno forzatamente archiviato in anticipo le velleità tricolori e sono stati eliminati da entrambe le competizioni europee. Qualora non levassero al cielo la Coppa Italia, ben potrebbe parlarsi di fallimento totale. A fronte degli oltre 100 milioni spesi sul mercato, la terza piazza rappresenterebbe infatti meno del minimo sindacale. Ad ogni modo, a trarre diretto beneficio dal passo falso della battistrada è stata quindi la Roma, sul velluto nel lunch-match del Mapei Stadium grazie alle reti del cecchino Mattia Destro e di Michel Bastos. Sotto il Cupolone sperano che le pagine più belle siano ancora da scrivere, personalmente restiamo sempre della stessa opinione: i piemontesi vinceranno il loro terzo titolo consecutivo, semmai si è inevitabilmente complicato il loro cammino sulla strada dei fatidici 100 punti.
Venendo adesso alla volata Europa League, la Fiorentina, che a Marassi ha impattato a reti inviolate contro i blucerchiati, di fatto ha già in tasca il pass: anche se dovesse inopinatamente crollare in campionato, vi accederebbe comunque dalla porta di servizio rappresentata dalla finale della Coppa nazionale (l’altra finalista, il Napoli, come detto andrà in Champions). Per gli altri due posti potenzialmente sono addirittura otto le compagini in corsa, racchiuse in otto punti, dai 49 dell’Inter ai 41 della Sampdoria.
I nerazzurri, nel monday night dell’Ardenza, hanno fatto harakiri subendo una clamorosa rimonta, dal doppio vantaggio, ad opera del Livorno. Fredy Guarin poteva scegliere un modo migliore per festeggiare il fresco rinnovo contrattuale, piuttosto che servire su un piatto d’argento ad Emeghara la palla del 2-2: un retropassaggio sciagurato che tarpa le ali della banda Mazzarri lanciata verso il quarto posto, piazzamento che consentirebbe di programmare meglio la preparazione estiva. Il punticino può accontentare tutto sommato i toscani, specie alla luce della brutta piega che aveva assunto l’incontro. Il Bologna è ad un tiro di schioppo e, ad oggi, Paulinho e compagni sembrano avere più birra in corpo degli emiliani.
A riaprire la bagarre per la seconda rassegna continentale ci ha pensato la Lazio che, superando il Parma in uno dei finali più rocamboleschi dell’annata, ha pienamente rimesso in gioco non solo se stessa, ma anche Atalanta, Verona, Torino e Milan, tutte vittoriose nel weekend. Tra queste ultime quattro, al momento è l’Atalanta a convincere di più sul piano della continuità: con quello del Dall’Ara sono ben sei (record assoluto degli orobici in A) gli exploit inanellati consecutivamente dai ragazzi di Colantuono, ormai efficaci anche lontano da casa, e si sa quanto una serie del genere possa far saltare il banco a questo punto della stagione. Verona e Torino esultano per la ritrovata vena realizzativa di Luca Toni e Alessio Cerci, protagonisti nei successi interni conseguiti a spese, rispettivamente, di Genoa e Cagliari. In particolare risalta l’emblematico 3-0 degli scaligeri, un passaggio fondamentale per mettere alle spalle il periodo nerissimo documentato dalle quattro sconfitte di fila. Il Milan invece si gode Balotelli, rifiorito con l’avvento della primavera che porterà al Mondiale, e Kaká, autore di una doppietta al Chievo nel giorno della sua trecentesima presenza in rossonero. Nella speranza che Ricky sappia resistere alle ammalianti sirene provenienti dalla Florida.
Infine, nel primo posticipo di questo lunedì 31 marzo, il derelitto Catania è stato costretto ad inchinarsi al cospetto dell’eterno Totò Di Natale, bravo ad orientare con un guizzo la contesa a favore della sua Udinese. I rossazzurri, dovendo ormai affrontare all’arma bianca qualsiasi avversario, hanno interpretato abbastanza bene la partita, rendendosi anzi sovente pericolosi. Ma Simone Scuffet, il talentino diciassettenne lanciato per necessità da Guidolin ai tempi delle assenze di Brkic e Kelava, ancora una volta ha sfoderato una prestazione da predestinato. I paragoni con Buffon già si sprecano, non sarà semplice arrivare ai livelli di Super Gigi ma la stigmate del campione iniziano a manifestarsi anche agli occhi dei più scettici.
JODY COLLETTI Twitter: @jodycolletti