Messina non cambia, né dal basso, né dall’alto, da destra o da sinistra. Messina non cambia e basta! E la ragione di ciò è che i messinesi non cambiano. Troppo presi a cercare capri espiatori contro cui sfogare la plausibilissima e condivisa ira funesta per l’ennesima ingiustizia che subiscono in questi giorni. Allora andiamo in Piazza e gridiamo contro il Palazzo (vuoto) questa nostra rabbia. Perché è Accorinti ad aver legiferato contro di noi. Perché è il consiglio comunale ad aver consentito che ciò avvenisse. O questo almeno è ciò che gli indignati, gli stufi, i nullatenenti, ma anche i benestanti torchiati da imposte fuori da ogni logica, reclamano.
Invece le cose stanno diversamente, perché non è di certo il civico consesso o la giunta municipale l’organo deputato a legiferare. Per comprendere ciò basta sapere cosa sia uno Stato di diritto. In molti, moltissimi presenti sanno bene come funzioni la tripartizione dei poteri, anche in Italia, ciò nonostante, sia i liberi cittadini che le truppe cammellate adunate opportunamente sfilano e urlano contro pesanti portoni in ferro battuto, oltre cui si intravedono solo alcuni agenti della municipale che tentano di richiamare all’ordine i cittadini, compresi quelli che scagliano il casco del proprio scooter contro il ferro battuto con violenza, come se accedere al palazzo fornisse uno sgravo di qualsivoglia genere.
Un’ impressionante eterogenia di popolo: dai cassaintegrati alle signore ingioiellate, dai meno abbienti ai liberi professionisti che spendono in tasse più di quanto guadagnino, tutti troppo stanchi e tutti detentori del diritto di non essere derubati da una politica che non è per la gente. “Sono forme di usura legalizzata”, ci dice uno dei tanti ragazzi in strada a fianco del padre schiacciato dal peso delle imposte.
Un banchetto allestito dall‘associazione L’altra Messina raccoglie adesioni per una class action in nome della giustizia negata, tutto il resto è amara e inutile fuffa o perdita di tempo -purtroppo-.Quella dei singoli cittadini indigenti, le cui storie sono estremamente simili tra loro e che hanno bisogno di una rassicurazione che non arriverà, non stamattina almeno. Quella dei “vip” che passeggiano tra la gente, rintuzzando un braciere che arde pericolosamente.
I sapientoni ben addestrati, “infiltrati” nei gruppetti, millantano possibilità alternative che semplicemente…non c’erano. Pochi i reali rappresentanti istituzionali in zona, impegnati a reclamizzare che “no, io la delibera non l’ho votata!”.
“Un dato oggettivo è che l’amministrazione non amministra per la gente”, commenta uno degli organizzatori della manifestazione. Ma bravo!
“Questo è un segnale contro lo Stato: deputati nostri stamattina non ce ne sono, né di destra, né di sinistra”, interviene nel dibattito un signore. Uno dei pochi che ha compreso davvero. È il Governo Monti a emanare un decreto che appena due settimane dopo, un Parlamento infame, votato dai cittadini (anche messinesi) converte in legge. Questo avveniva nel 2011. A distanza di due anni (perché la legge è datata dicembre), il comune messinese, come tanti altri, deve decidere se restare a Tarsu, applicarne una versione “semplificata” o passare a Tares.
Consiglio, amministrazione, associazioni di consumatori e categorie si chiudono in camera caritatis per trovare la soluzione meno dolorosa. Perché la Tares la paghiamo tutti, anche loro, e giocare contro se stessi è da folli autolesionisti. Per rimanere a regime precedente era necessario individuare altre “casseforti” dalle quali attingere, ossia voci della fiscalità generale del Comune che, laddove non lo si fosse ripetuto a sufficienza, non ha un centesimo bucato da mesi.
A rigor di logica: niente soldi in cassa, niente casse alternative da cui prendere un cent.
O credevate che il dissesto fosse solo uno spauracchio da sbandierare in campagna elettorale? Bè vi capiremmo, ci abbiamo pensato un po’ tutti. E in parte, di certo è stato così. Una campagna elettorale che tra l’altro non finisce mai e che ancora ora (inteso proprio come stamattina) era in atto con tanto di mobilitazione dei “fidati amici” scesi in piazza per l’occasione.
C’erano sì i disperati davvero impossibilitati a far fronte al salasso, c’erano sì i borghesi di ieri che non hanno più da dove attingere, c’era sì tanta onestà intellettuale di chi non ne può più, ma c’era anche tanta, tanta, tanta risorsa umana opportunamente in loco per demonizzare il sindaco in ciabatte, in attesa di trasformare il coro in un inno di trionfo, all’atto del cambio di poltrona.
Questi ultimi erano lì, dimentichi delle famose regole per cui è il legislatore che legifera. Dimentichi che è il Parlamento a stabilire cosa diviene norma e cosa no. E a Roma, di messinesi eletti ce ne sono oggi ma ce n’erano anche ieri, quando la famigerata Tares che “non si poteva non approvare” diventava legge a tutti gli effetti.
E allora, quella fantastica risorsa di energia, di sana incazzatura (perché così si chiama) che riempiva la zona antistante Palazzo Zanca oggi è non solo condivisa da tutti (compresi i 49 tra giunta, sindaco e consiglieri), è giusta e motivata su basi ultrasolide, ma, semplicemente, avrebbe dovuto, essere canalizzata diversamente, indirizzandola ai reali destinatari della protesta, i quali non operano di certo di fronte a Piazza Unione Europea. Pena: uno spreco immenso.
L’assenza di alcuni membri del consesso e del sindaco in primis ha rappresentato un errore madornale, perché da rappresentanti della cittadinanza è ad Essa che devono render conto e non è compito di vigili e giornalisti recarsi in loco per dare spiegazioni su ciò che evidentemente non è chiaro a molti.
Oggi in città c’erano tutti, ministro compreso, quello che ad ora partecipa ad un Governo che ha messo in cantiere un altro regalo (la Tasi) del quale prestissimo sentiremo effetti da aggiungersi a quelli che subiamo adesso; forse sarebbe stato decoroso vederli sfilare con mano sul petto e cenere sul capo, in quella piazza che reclamava giustizia, prendendosi o spogliandosi di responsabilità che, prima ancora che dei loro colleghi di partito seduti in Consiglio Comunale, e della giunta che amica non è (almeno non per effigi), sono le loro. Se la gente conoscesse i propri diritti e volesse farli valere avrebbe l’opportunità di farlo, fino a quel momento è e resterà una guerra tra poveri. @eleonoraurzi