ACCOGLIENZA PROFUGHI: NO ALLA MILITARIZZAZIONE, LA RIFLESSIONE DELLA COMUNITA’ DI BASE

Riceviamo e pubblichiamo una nota dalla Comunità di Base di Messina (da wp: gruppo di credenti cristiani (solitamente provenienti dalla Chiesa cattolica), che si riconoscono nel Vangelo e nella pratica di una Chiesa “altra” rispetto a quella istituzionale, cioè (usando le loro parole) “più evangelica e più credibile”)

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Circa centoventi migranti si trovano, oggi, al Palanebiolo. Sono uomini (alcuni minori) di diversa provenienza, fuggiti dalla fame e dalla guerra, scampati alla strage del Mediterraneo, protesi verso la speranza di una vita più degna.

Noi, Comunità di base di Messina, cittadini come tutti, cristiani che si interrogano sulla Parola che emerge dalla storia, non possiamo tacere.

Il 2 novembre, commemorazione dei fratelli defunti, è stato memoria straziante anche delle centinaia di vite sepolte nella grande fossa comune del Mediterraneo, quei tanti morti senza volto inghiottiti dal mare.

Molti viaggi della speranza – è atroce realtà di troppi anni, ormai – si trasformano in immani carneficine.

Eppure, alcuni riescono a raggiungere la nostra terra.

Forse non sanno già, mentre stanno stipati nelle imbarcazioni in condizioni disumane, mentre subiscono soprusi e abusi, che il loro riuscire a salvarsi sarà una colpa. Reato, per lo Stato italiano. Reato di clandestinità. Quello di Maria e Giuseppe in Egitto. La nostra Italia criminalizza gli immigrati. La nostra Messina, nonostante la reazione dell’amministrazione e di parte della società civile, sta facendo altrettanto.

 

La celebrazione, il 4 novembre, della festa delle forze armate ci impone, oggi, un’amara riflessione: siamo dentro un processo di progressiva e inquietante militarizzazione; la Sicilia è un avamposto di guerra, i migranti un “problema di ordine pubblico”; i radar perlustrano le coste, l’operazione Mare Nostrum evoca il senso del possesso, non della condivisione di uno spazio comune. La questione delle migrazioni, da fatto che interpella la comunità accogliente sul piano etico e sociale, è via via diventata una voce nel capitolo delle spese militari.

I 120 migranti oggi in regime semi-detentivo al Palanebiolo non sono stati inseriti nel circuito del volontariato e dell’associazionismo: sono controllati a vista, circondati di poliziotti. Quella che doveva essere una sistemazione provvisoria dura ormai da settimane.

Ci sono stati anni in cui in Italia si gridava all’invasione, per suscitare atteggiamenti xenofobi di rifiuto; oggi, invece, si è scelto di tenere i migranti nel nascondimento. Non conviene, evidentemente, mettere in luce la questione dell’emergenza asilo: probabilmente la grandezza del fenomeno ci inchioderebbe alle responsabilità che abbiamo nei conflitti e nei disastri economici planetari, ci farebbe sentire sulle spalle il peso di secoli di storia che hanno prostrato interi Paesi del Sud del mondo costringendo le popolazioni alla fame, alla sete, alla povertà, alla fuga.

 

Ma siamo sicuri che sia davvero questa l’unica via percorribile?

Come possiamo non scandalizzarci di fronte ai business che si muovono attorno alle migrazioni?

Come possiamo dimenticare che è il nostro modello di sviluppo a produrre le condizioni da cui queste persone sono costrette a fuggire?

Davvero crediamo che la repressione, il controllo, la detenzione rendano migliore la convivenza tra gli uomini?

Sono tranquille, le nostre coscienze, nel sapere che al modello sociale, fatto di accoglienza e sostegno, si stia preferendo quello militare, in cui la persona non è vista nel proprio dramma e nella propria ricchezza, ma trattata come un pericolo o un ingombro?

L’amministrazione comunale si è da subito messa in movimento per trovare soluzioni più ospitali, e in un recente comunicato il sindaco Accorinti ha ribadito la necessità di “centri di immigrazione idonei e decorosi a tutela dei diritti umani, su tutto il territorio italiano”. L’Arci, la Comunità di S.Egidio, altre associazioni e singoli cittadini si sono ripetutamente opposti alla soluzione scelta dalla Prefettura e seguono quotidianamente con impegno le sorti dei fratelli migranti.

Noi, come Comunità di base di Messina, esprimiamo il nostro profondo dolore di fronte a queste vite strappate alla morte fisica per essere precipitate nella morte dell’invisibilità. Gridiamo la nostra indignazione nel vedere come all’accoglienza integrale e fiduciosa della persona si anteponga la retorica della sicurezza e della legalità.

Ci uniamo alle voci di chi ha denunciato la gravità di tale operazione e il permanere di simili condizioni e chiediamo che venga al più presto avviato il tavolo di confronto che varie associazioni e movimenti hanno proposto per individuare un percorso alternativo.

Noi vogliamo scommettere sulla potenza salvifica e trasformatrice dell’incontro e della relazione, sulla dimensione partecipativa e comunitaria dell’accoglienza. Guardando a quel Gesù che si è preso cura del benessere integrale delle persone, soprattutto dei più deboli, e che, andando oltre i vincoli disumani di certe leggi, ha annunciato il Vangelo della liberazione, chiediamo a ciascun cittadino messinese di guardare con senso critico al sistema perverso di cui facciamo parte e di aprire il cuore all’accoglienza piena di questi volti e di queste storie: nulla è immodificabile e, unendo le nostre voci, possiamo ancora fare in modo che la nostra Città e il nostro Stato scelgano di trattare i migranti non come un pericolo o un disturbo, ma come una ricchezza e un dono.

 

Non maltratterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto.” (Esodo 22,20)

Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato? In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me.”

(Matteo 25, 38.40)

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