Quando si avvicina novembre, il tema diventa bollente. Gli avventori del Gran CampoSanto sono numerosissimi a ridosso del giorno dedicato alla commemorazione dei defunti e, passeggiando per i vialoni poco curati del Cimitero Centrale, non si presta neanche troppa attenzione alle meraviglie che sono nascoste sotto la patina spessa di degrado e trascuratezza. Ma la sporcizia, i marmi rotti e sparsi in terra, le sterpaglie sul ciglio della strada, quelli sì che si notano. E divampa la (annuale) polemica.
Che i cimiteri siano dei luoghi da rispettare non v’è dubbio, tenendo comportamenti dignitosi e onorando i visitatori e il loro lutto con silenzio ed educazione ma che debbano essere frequentati solo da chi vuol deporre dei fiori ai piedi della lapide di un parente estinto è follia, specie se si tratta di parchi potenzialmente eccezionali, siti in centro città e valorizzati da lunghi corridoi alberati, straordinarie riproduzioni artistiche, cappelle che raccontano storie fantastiche di amore, di vita, di sacrificio e di fede e monumenti di artisti di grande fama. Anche perchè l’intento di chi ha progettato il GCS era proprio quello di dare a Messina un giardino centrale e splendido che ne arricchisse l’arredo urbano.
Passeggiando per i vicoletti che collegano antiche chiesette in stile neoclassico, non è raro incontrare qualche curioso turista che fotografa silenziosamente ciò che di meraviglioso si staglia di fronte ai propri occhi. Un vero e proprio museo a cielo aperto quello che è stato ideato dall’architetto Savoja nel lontanissimo 1854. Anche a quel tempo la classe dirigente messinese non conosceva il concetto di celerità e così, la struttura ordinata per fronteggiare l’urgenza di spazi in cui seppellire la moltitudine di vittime che il colera stava mietendo il Sicilia, vide la luce solo diciotto anni dopo (e menomale che era urgente!).
Qualche mese fa abbiamo deciso di entrare per una perlustrazione a scopi prettamente giornalistici, (da messinesi, eravamo già a conoscenza dei meriti-e i demeriti- estetici del luogo e pensavamo fosse opportuno renderli noti anche a chi non l’avesse mai visti). Fotocamera alla mano e via con la marcia.
Sotto i nostri occhi rovine e brutture, pattume e sudiciume vario, cappellette abbandonate, vetri in frantumi, carcasse di animali e lapidi divelte; flaconi un tempo contenitori di detersivi oggi atte a segnalare voragini dentro cui Dio non voglia si vada ad inciampare. Ma non c’è solo questo.
Il cimitero monumentale di Messina, il secondo in Italia per bellezza monumentale e importanza artistica, dopo quello di Genova, è la perfetta sintesi delle dicotomie che caratterizzano e dilaniano la nostra città: un mix di capolavori e incuria, di attrattiva e defezione, di armonia menefreghismo. Questa è Messina. Questi sono i messinesi.
E le amministrazioni e i dirigenti che si sono susseguiti in tutto questo tempo, quando mai hanno combattuto davvero e con forza perchè la rotta venisse invertita? Certo, qualcuno ha tentato di accendere i fari sulla questione, provando a reperire i fondi necessari per la manutenzione del parco cimiteriale; ci sono stati insegnanti che, in passato, hanno provato ad educare i propri allievi, sin dalla tenera età, ad essere cittadini responsabili, facendo loro adottare delle sculture commemorative delle quali i più piccoli si prendevano cura periodicamente. Ma una rondine non fa primavera e ahinoi neppure qualche sparuto stormo passato sui nostri cieli in questi decenni.
A proposito di fondi, è noto che il governo britannico, da sempre si fa carico degli spazi adibiti a cosiddetto “cimitero degli inglesi”, ospitati presso i campisanti di città straniere. E’ sempre stato così anche qui da noi, fin tanto che, una delegazione in visita non ha toccato con mano l’indecenza e l’incuria in cui verteva l’area presso il GCS di Provinciale. Che ne sia stato di quelle erogazioni, se sospese e poi nuovamente stanziate, se ridotte minimamente o drasticamente, non ci è dato sapere. Nel pieno del nostro dovere -di cittadini prima di tutto-, abbiamo però chiesto all’amministrazione di far luce sulla faccenda.
La passeggiata continua tra le strade alberate e non possiamo fare a meno di restare a bocca aperta di fronte a certe icone che raccontano storie di uomini, donne e bambini, talvolta di intere famiglie appartenenti ad una città che non sembra affatto essere la nostra. C’è una cappella che parla di sacrificio e di lavoro, quella di Giorgio Guglielmo Peirce, Grande Ufficiale della Corona d’Italia, console di Napoli in Siam e filantropo. Un industriale ben voluto che prestò soccorso in occasione del terremoto che colpì la città dello Stretto e che giovanissimo lasciò “nello strazio perenne la desolata vedova Giulia De Martino”, come si legge in un’incisione del tempo. Proprio vicino all’ingresso un bimbo in marmo è seduto a ridosso di un libro, sul quale sono incise le toccanti parole di Pianto Antico: ultimo saluto di un padre a suo figlio, prematuramente scomparso. Al Cenobio poi, nel lembo di terra riservato ai nobili e ai più ricchi di allora, si erge la lapide di un umilissimo barbiere. L’immagine scolpita in bassorilievo narra l’esistenza trascorsa a tagliar capelli e cavar denti ai suoi clienti. “Pare mise i soldi da parte per tutta la vita per poter avere un posto qui, nel punto più alto, proprio di fronte al suo mare”, secondo i racconti di uno storico dell’arte incrociato anni e anni fa proprio nei pressi della chiesetta liberty che sovrasta il cimitero. Eh già perchè critici, curiosi, turisti e amanti del bello, in generale, nel tempo si sono cimentati a fare le stesse passeggiate che oggi compiamo noi che siamo animati dal doppio intento di godere di bellezze degne di un museo e quello di mostrare a voi ciò che, purtroppo, in pochissimi possono dire di conoscere davvero. Per restare in tema di esposizioni, è proprio il caso di considerare il GCS l’unico vero patrimonio artistico concentrato in un unico ambiente di cui la città possa fruire, ad oggi, data la mancata apertura (ancora!) del padiglione “nuovo” del Museo Regionale, ove sono state già trasferite -o per meglio dire nascoste- le opere conservate a Messina. Dopo “solo qualche anno” non è ancora pronto per l’accoglienza del pubblico (volesse mai farci una capatina qualcuno!).
Lungi da noi voler cadere nell’esterofilia forzata ma che i cimiteri siano spesso altro rispetto al semplice luogo ove deporre corone di fiori in memoria di chi non c’è più è cosa nota a chiunque abbia guardato appena fuori dai nostri confini. Si pensi a Père-Lachaise, a Parigi: uno dei luoghi più visitati, una delle mete di maggior attrattiva turistica della Francia intera. Dal pittore Jacques-Louis David, a Oscar Wilde, Amedeo Modigliani, Marcel Proust, fino a Jim Morrison, tantissimi sono i nomi altisonanti di grandi protagonisti della letteratura, la musica, la storia, la cultura di tutti i tempi e le loro tombe sono visitate da curiosi e amanti della loro arte, ogni giorno, come e quanto lo sono la MonnaLisa o la Tour Eiffel. Al Famedio sono tumulati personaggi che appartengono la nostra storia, la nostra arte, la nostra cultura e il risposo delle loro spoglie è offeso dall’abbandono e la nonocuranza di chi dovrebbe sentirsi onorato che la propria terra sia stata conosciuta grazie al genio di questi interpreti della messinesità, quando essi erano in vita.
In Francia, come in Italia, sotto la guida di Napoleone entrò in vigore l’editto di Saint-Cloud che regolamentava la sepoltura dei morti. Questa normativa ispirò Foscolo per la stesura di una grande opera che non poteva che esser chiosa di questo articolo. A noi, sculture, monumenti, marmi lavorati, mosaici e affreschi straordinari hanno narrato di imprenditori, di modesti operai, di generali caduti servendo la Patria, di italiani morti difendendo un ideale, di inconsolabili vedove e di padri e madri dalle cui braccia sono stati strappati dalla morte figli ancora in fasce, di antichi personaggi che hanno abitato e costruito le fondamenta di questa città e di chi sotto le macerie della sua distruzione ha esalato l’ultimo respiro.
Come il poeta di Zante Dei Sepolcri, riteniamo che chiunque abbia diritto di ascoltare i bisbiglii di Muse che raccontano le storie di chi riposa in pace.
E me che i tempi ed il desio d’onore
Fan per diversa gente ir fuggitivo,
Me ad ad evocar gli eroi chiamin le Muse
Del mortale pensiero animatrici.
Siedon custodi de’ sepolcri e quando
Il tempo con sue fredde ale vi spazza
Fin le rovine, le Pimplèe fan lieti
Di lor canto i deserti, e l’armonia
Vince di mille secoli il silenzio.
(ELEONORA URZI)
(foto di Serena Capparelli)