Un network vero e proprio, posto in essere grazie alla collaborazione tra diverse professionalità, tutte mosse da una comune e inevitabile solidarietà nei confronti di chi vive un incubo del quale si parla da tempo ma a capo del quale non sembra si riesca a giungere. Assistenza sanitaria è una delle priorità assolute per fronteggiare l’emergenza di quanti mostrano patologie da ricovero e, tra Croce Rossa e ASP, si cerca di operare come possibile, in favore di profughi bisognosi di cure specializzate.
Che gli accordi internazionali esistano non v’è dubbio e che questi non siano rispettati è altrettanto evidente.
La disperazione è quella che anima uomini e donne che, spesso accompagnati da minori, lasciano i propri Paesi in cerca di un futuro migliore. Con una frequenza allarmante raggiungono le coste di Lampedusa e da lì inizia a svilupparsi una vera e propria guerra tra poveri: isolani da una parte e stranieri dall’altra. Non sempre l’accoglienza italica è degna delle più umane manifestazioni di vicinanza al “fratello” sfuggito alla propria terra e appare plausibile lo sconforto e il senso di abbandono di chi, da anni, si vede lasciato solo a fronteggiare un’emergenza che appare sempre meno “urgenza” per chi è chiamato a disporre in merito, dal comodo della sua poltrona da legislatore.
A Bruxelles, in questi giorni, si affronta il tema degli sbarchi con molta più incidenza di quanta non ve ne sia stata negli ultimi tempi, ma la fiducia nelle istituzioni stenta a tornare nei lampedusani, i quali temono si limiti tutto a semplici simposi tra diplomatici internazionali: tante parole e pochissima concretezza.
Allora ci si offre aiuto reciproco. Tra cittadine contigue si cerca di essere disponibili e di dividere il peso del fardello, nei limiti del possibile: anche Messina, nelle scorse settimane ha risposto all’appello di chi non ha più terra e risorse per ospitare i “fortunati” che, nonostante le agghiaccianti peripezie di viaggio, hanno raggiunto le coste dell’Isola vivi e vegeti. Sono stati accolti al PalaNebiolo, oltre 51 subsahariani, in via provvisoria; tra di loro, ad ora “nessun minore”, così come precisato nella nota emessa dalla Prefettura di Messina che, in data odierna, ha ritenuto di inoltrare agli organi di stampa, un comunicato atto a definire alcuni concetti, nei giorni scorsi travisati dai media. In tale testo si precisa che: “a seguito dell’avvenuto riscontro della presenza di un minore nei giorni scorsi e di altri due minori nella tarda mattinata odierna, gli stessi sono stati prontamente dimessi dalla suddetta struttura per essere accolti – trattandosi di minori non accompagnati- negli appositi centri esistenti in provincia”.
Si specifica che l’impiego della struttura sportiva abbia rappresentato una misura estrema: una palla colta al balzo, data la generosa disponibilità dell’Università degli Studi, sotto la cui giurisdizione cade l’area. Nel frattempo, il monitoraggio teso a reperire eventuali altre possibili strutture è costante.
Di fatto, ad oggi -comunica la Prefettura- non sarebbero emerse alternative idonee a fronteggiare adeguatamente la situazione. Nel comunicato emesso, infatti, si legge “l’unica segnalazione, pervenuta dal comune di Fondachelli Fantina, non è stata ritenuta idonea, secondo i parametri di sicurezza afferente i profili tecnici di agibilità e tutela dell’ordine pubblico”. Inoltre, le chances delle quali si era paventata la possibilità d’impiego, situate entro i nostri confini territoriali, non sono nelle condizioni d’esser tenute in considerazione. Tempo fa, ricorderete, fu lo sport village Le Dune, a costituire una vera e propria risorsa, indispensabile per far fronte alla vicenda di Giampilieri, grazie all’accoglienza che offrì agli sfollati dei villaggi ionici, all’indomani della tragedia del 2009. “A quanto pare tale struttura non risulta idonea in quanto oggetto di un provvedimento irrevocabile dell’Autorità Giudiziaria con cui ne viene disposta la demolizione quale manufatto abusivo”. A questo punto, si potrebbe osservare che, dopo anni di attività e dopo l’impiego dell’area a scopi solidali, è strano che ci si accorga solo oggi di questo abusivismo. O più banalmente si potrebbe altresì usare una frase fatta, per la serie: “da necessità nasce virtù”, ma soprassediamo.
La nota diramata prosegue, evidenziando come “Il competente Ufficio Stranieri della locale Questura sta provvedendo, previa verifica dell’avvenuta fotosegnalazione, alle operazioni di adeguata informazione preventiva, alla conseguente raccolta delle manifestazioni di volontà dei richiedenti asilo – opportunamente informati sui propri diritti, anche mediante l’ausilio di mediatori culturali (interpreti) autorizzati da questa Prefettura – ed all’inoltro delle richieste, fatte formalizzare agli aventi diritto, alla competente Commissione territoriale per i seguiti di pertinenza, ossia per i successivi adempimenti atti a consentire l’inserimento di tali soggetti nelle strutture SPRAR allo scopo preposte”.
Quasi inutile precisare l’ovvio: la speranza è che la situazione rientri e che il numero di disperati intenti a giungere alle porte di “casa Italia” diminuisca e non tanto perchè la nostra capacità di ospitarli sia limitata e superficiale quanto più perchè se a torture e sconquassi-viaggi della speranza, condizioni inumane, violenze e soprusi e quanto di peggio esista-, queste persone si sottopongono, consapevoli della non certezza di approdare a destini più rosei, è chiaro che ciò che lasciano è un incubo che noi tutti, neanche attivando la fantasia più macabra e catastrofista, potremmo mai arrivare, ed è lungi dalla pietas insita nel nostro DNA la passiva accettazione dell’esistenza di tali atrocità. Girarsi dall’altra parte non elimina il problema, lo allontana solo dalla nostra traiettoria ma, è sufficiente sfogliare un giornale o accendere la tv perchè quel residuo di coscienza solidale si riaccenda. Fingere di essere inermi è solo un’ipocrita giustificazione che diamo alla nostra impotenza, in realtà a volte è sufficiente molto meno di quanto non si creda per essere utili al prossimo. Una buona dose di solidarietà e comprensione è già un punto di partenza non da poco. (ELEONORA URZI’)
foto di Enrico Di Giacomo