‘NDRANGHETA: IL CASO DELLE “INTERCETTAZIONI DIMENTICATE” SUL TRAGHETTO TRA REGGIO E MESSINA

Una notizia allarmante quella riportata in questi giorni da alcuni quotidiani calabresi. Sul traghetto che collega Reggio Calabria e Messina, sono stati ‘ritrovati’ quattro contenitori con intercettazioni non ancora trascritte. Telefonate che riguardano il processo Meta, uno dei più importanti procedimenti in corso sulle attività della ‘ndrangheta reggina, la più potente e ricca della criminalità organizzata calabrese, con ramificazioni in tutta Italia e all’estero.

A riferire la notizia Giuseppe Lombardo, pm applicato alla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria. “ll Ros di Reggio Calabria è stato contattato dal personale delle navi traghetto, che hanno rinvenuto su un divanetto quattro plichi, fortunatamente quasi integri, relativi alle intercettazioni non ancora trascritte di questo processo. Tre dei plichi sono totalmente integri, mentre un quarto risulta aperto ma il supporto sembra non esser stato toccato. Quelle intercettazioni non sono ancora state trascritte nonostante l’incarico sia stato affidato mesi e mesi fa. Sono originali, se fossero state perse non ci sarebbe stato modo di recuperarle”.

Un episodio gravissimo (Lombardo ha spiegato che sono stati disposti accertamenti su uno dei periti incaricato alla ‘sbobinatura’) che ruota attorno ad un processo molto delicato su quattro clan che nella provincia di Reggio fanno il bello e il cattivo tempo: Condello, De Stefano, Tegano e Libri. Cosche che si sarebbero alleate per un “comune progetto criminoso” all’indomani della conclusione della seconda guerra di ‘ndrangheta, che ha insaguinato il reggino dal 1985 al 1991. Dietro la fine della disputa ci sarebbe anche la mediazione di Totò Riina, a cui la ‘ndrangheta avrebbe restituito il ‘favore’, assassinando il 9 agosto 1991 il giudice Antonino Scopelliti, procuratore presso la Corte di Cassazione, che avrebbe dovuto rappresentare ‘l’accusa’ nell’ultimo grado di giudizio del maxiprocesso a Cosa nostra.

Secondo il pentito Nino Fiume, Cosa nostra provò inoltre a coinvolgere le ‘ndrine nell’attacco allo Stato condotto a partire dal 1992. Ci sarebbero stati anche tre incontri a Rosarno, Parghelia (Vibo Valentia) e Milano, tutti nel 1993, l’anno in cui la mafia prosegue la sua strategia della tensione, colpendo il patrimonio artistico fuori dalla Sicilia, a Firenze, Roma e Milano. Ma i De Stefano rifiutarono la proposta di Cosa nostra. “Peppe De Stefano (il capocosca, arrestato nel 2008, ndr) diceva che era più facile avvicinare un magistrato o al massimo distruggerlo con campagne denigratorie” ha spiegato Fiume.

Nell’indagine Meta anche il nome di Domenico Barbieri, che secondo una informativa dei Carabinieri sarebbe stato in contatto con noti esponenti politici calabresi, compreso il governatore della Regione Giuseppe Scopelliti. A parlare di politica anche Fiume: “i politici venivano a bussare alla nostra porta. C’era gente che valeva venti o trenta voti e se ne ritrovava migliaia”. 

Da questa inchiesta sono partite altre indagini, che hanno consentito di aprire nuovi scenari sulla penetrazione della ‘ndrangheta a Roma e Milano. Il procedimento principale è ormai giunto in Cassazione: l’impianto accusatorio ha retto in primo e secondo grado, determinando 17 condanne e oltre 240 anni di reclusione. Quanto siano delicati i fascicoli Meta lo dimostrano anche le intimidazioni ricevute dal pm Giuseppe Lombardo, destinatario lo scorso mese di marzo di un pacco bomba. 50 grammi di esplosivo accompagnati da una lettera di minaccia: “Se non la smetti ci sono pronti altri 200 chili”. (fonte IBT)

 

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