In una delle liriche, considerate “minori”, Ciaramelle, Giovanni Pascoli così scriveva: «Nel cielo azzurro tutte le stelle / paion restare come in attesa, / ed ecco alzare le ciaramelle / il loro dolce suono di chiesa, / suono di chiesa, suono di chiostro, / suono di casa e suono di culla, / suono di mamma, suono del nostro / dolce e passato pianger di nulla». Questi stessi versi sono stati magistralmente letti e commentati dallo psicoanalista Pierluigi Moressa che, stamani, ha tenuto un seminario sul suo ultimo lavoro Pianger di nulla. Gli affetti di Giovanni Pascoli , edito Raffaelli, presso l’Aula Cannizzaro, evento promosso dal Laboratorio Psicoanalitico Vicolo Cicala.
Il poeta del “fanciullino”, che ha condotto una vita da esule, tra sofferenze personali e familiari che gli hanno lacerato l’anima, tra gli ardori politici e la dolce medicina della letteratura classica, è stato interpretato da Moressa mostrando un continuo intreccio tra poetica e biografia. La poesia diventa in Pascoli la trasfigurazione delle ragioni profonde delle sofferenze reali, fino a sfociare alla dimensione del nulla, come stato profondo dell’inconscio, in cui si celano gli aspetti più estremi e indicibili dell’essere umano.
Questo stesso Pascoli, nostalgico del grembo materno, è colui il quale attraversò lo Stretto e calcò le strade di Messina, luogo in cui insegnò fino al 1903. Sono tanti i ricordi rivolti a queste “sacre sponde”, annoverate sempre per essere il luogo-simbolo dei poeti, dell’incontro tra latinità e grecità, il luogo della storia gloriosa; si vedano a tal proposito, per esempio, le pagine in memoria di Diego Vitrioli («Questo mare è piano di voci e questo cielo è pieno di visioni» in Pensieri e discorsi). Moressa rivela infatti che, proprio negli anni del soggiorno messinese, Pascoli compose un inno alla Sicilia, richiedendo a Puccini di musicarlo, ma tale progetto fallì dal momento che il compositore si dedicò alla stesura della Tosca; “sarà, poi, proprio Puccini – dice Moressa – con i suoi singhiozzi a fare da colonna sonora alla morte di Pascoli”.
Ciò su cui ha posto maggiormente l’attenzione lo psicoanalista è stato piuttosto il dramma della vita di un poeta che ha trascritto in versi, come una forma di autoterapia non riuscita, la sofferenza che lo lacerava. A tal proposito, infatti, è stato ricordato il difficile rapporto con la madre, gli anni dell’infanzia trascorsi al collegio, il lutto per l’omicidio del padre, al quale Pascoli rivolgerà la famosa lirica X Agosto. Proprio la famosa poesia, infatti, è l’emblema non solo di una scrittura dal respiro cosmico, ma anche il ritorno all’elemento materno nel riferimento della “rondine al tetto”. Come ha dichiarato Moressa riguardo la scrittura di Pacoli, «il suono, che dà un senso di fronte al nulla, nella poesia riesce a farsi parola e Pascoli riesce a fare parola anche sovvertendo gli standard poetici del tempo. Scioglie il pesante endecasillabo carducciano esprimendosi “in piccoli versi”, fatti di piccole cose, dal forte carattere fonosimbolico. I versi pascoliani sono di un’estrema musicalità».
Riguardo proprio la connessione tra il nulla e gli affetti, Moressa evidenzia come nel fatto che il bambino pianga senza motivo, pianga per nulla, ci sia un recupero degli affetti primi. Proprio sul ruolo fondamentale degli affetti femminili, quali le sorelle Ida e Maria, si concentra la seconda fase della vita di Pascoli, già segnata da terribili lutti familiari, che sono seguiti all’omicidio del padre. Si legò fortemente ad Ida, tanto che alcuni parlarono, secondo Moressa ingiustamente ed eccessivamente, di incesto, e si addolorò moltissimo, tanto da avere impeti suicidi, quando questa convolò a nozze. Si trasferì, dunque, in Garfagnana, con la “sorella e custode” Maria, tanto che Pascoli non decise mai di abbandonarla.
Se spesso si prova un certo fastidio nel leggere i versi buonisti e vittimisti di Pascoli permeati da un continuo senso di colpa, Moressa ritiene che questa colpa, in realtà, sotterra tanto odio e passione. Una verve che si esprime con il coinvolgimento politico socialista, con il desiderio di una società più giusta.
Se la poesia di Pascoli così inquietante, per certi versi, nel senso del perturbante, cioè dell’unheimlich freudiano, si fosse fermata più a lungo a Messina, secondo Moressa, avrebbe potuto essere più tranquilla, serena, favorita, soprattutto, dalla lontananza da quelle terre romagnole tanto piene di dolore. E il dolce mar mediterraneo avrebbe fatto da medicina alle ferite profonde di Pascoli.
Pierluigi Moressa (Forlì, 1959), medico psichiatra e psicoanalista, giornalista pubblicista, si occupa da tempo dei rapporti che intercorrono tra processi mentali ed esperienza artistica e creativa. Ha pubblicato saggi sull’arte, la storia e la letteratura. Dopo Giovanni Pascoli. La poesia del mistero, edito daFoschi, e quest’ultimo Pianger di nulla, Moressa ha già annunciato un prossimo testo che uscirà orientativamente nel 2015 e avrà come oggetto la futura apertura di un plico di lettere, attualmente segretamente custodito nell’Università di Pisa, che Pascoli si scambiò con il fratello Raffaele durante il periodo livornese. (CLARISSA COMUNALE)