Entra nel vivo il processo scaturito dall’operazione Gotha 3, che vede tra gli imputati Rosario Pio Cattafi, considerato l’ “eminenza grigia” della famiglia mafiosa barcellonese. Nei suoi confronti è stata richiesta una condanna a 16 anni di reclusione da parte dei sostituti della DDA Angelo Cavallo, Vito Di Giorgio e Giuseppe Verzera. L’avvocato Rosario Pio Cattafi, indicato da alcuni pentiti come il capo della mafia di Barcellona Pozzo di Gotto, ha seguito l’udienza in videoconferenza dal carcere dove si trova ristretto in regime di 41bis: una lunga requisitoria da parte dell’accusa, che ha ripercorso il “curriculum vitae”a partire dagli anni ’70, dalla permanenza a Milano, l’inchiesta a suo carico e poi archiviata su un traffico di armi e quella sul traffico di droga. Dinanzi al giudice è stato rievocato anche il rapporto tra Cattafi e il boss catanese Nitto Santapaola, per il quale svolgeva funzioni di consulente e operatore finanziario per le operazioni di riciclaggio e di garante quando l’organizzazione trattava affari con altre organizzazioni o con qualche soggetto esterno.
Cattafi lo scorso luglio aveva chiesto di essere giudicato con il rito abbreviato e separatamente dagli altri cinque indagati, nei confronti dei quali erano state richieste altre pesanti condanne: 16 anni per Tindaro Calabrese, “ padrino” dei Mazzarroti; 10 anni per Agostino Campisi; 16 anni e 8 mesi per Giuseppe Isgrò considerato il cassiere della famiglia; 10 anni per Salvatore Carmelo Trifirò; 14 anni e 6 mesi per Giovanni Rao.
La sentenza è stata fissata per il 18 novembre prossimo.
L’avvocato Cattafi è già stato sentito nei mesi scorsi da due procure, Palermo e Messina, sulla trattativa Stato-mafia il cui processo è in corso di svolgimento al tribunale di Palermo.
L’ombra di Cattafi compare in molte pagine delle principali inchieste dell’ultimo ventennio della storia italiana. Si racconta che abbia avuto contatti con il signore della P2 Licio Gelli, con il leader di Avanguardia Nazionale Stefano Delle Chiaie, con l’emirato di Abu Dhabi e arrivando fino al “Principe di Villagrazia” Stefano Bontate. Un vero trait d’union tra massoneria, servizi segreti e organizzazioni criminali, accusato da più collaboratori di giustizia di essere non solo un trafficante internazionale di armi e di stupefacenti, ma di svolgere silenziosamente l’attività d’intermediario finanziario per i clan, per riciclare i proventi in attività lecite, in quote azionarie di società e in appalti.