Le dinamiche ricostruite dalla commissione scientifica che se ne occupa sono quasi da set filmico: almeno due sicari (oramai è chiaro che non si è trattata dell’azione di un singolo) si sono avvicinati nella notte alla moto di Alessandro Maggio che, di ritorno da una festa padronale di una città vicina, aveva appena parcheggiato non lontano dalla propria abitazione sita in via della Salita Basiliani 15. Prende forma così la pista di un attentato premeditato, minuziosamente studiato prima di essere messo in atto e che, contrariamente a quanto alcuni hanno pensato, non avrebbe avuto come obiettivo l’ “avvertimento” della vittima: sono ben nove i colpi di fucile esplosi ad altezza d’uomo – per la precisione ad altezza di nuca – contro la vittima.
Al vaglio degli inquirenti vi sono adesso due ipotesi circa la metodologia adottata: si dibatte sull’uso di due o di un singolo fucile da caccia grossa cui, in ogni caso, sarebbero state applicate importanti modifiche. Sulla scena del crimine sono state trovate infatti nove “borre”, ovvero le “capsule” con le quali si migliora la capacità e la potenza di tiro di questo genere di armi, essendo proprio questa componente addetta alla funzione di “raccordo” tra l’energia sviluppata dalla combustione della polvere e la carica dei pallini cui detta energia va trasmessa, pallini che possono essere sia di piombo che d’acciaio.
Uno di questi “frammenti offensivi” sarebbe il responsabile della ferita superficiale che Maggio ha riportato al capo: una lesione del cuoio capelluto che è stata prontamente ricucita al Cutroni Zodda. I medici hanno inutilmente provato a convincere il meccanico a rimanere sotto osservazione per appurare l’assenza di lievi traumi dovuti più che al colpo ricevuto alla caduta che questo ha comportato: subito dopo essere stato ricoverato l’uomo ha voluto tornare a casa dove è stato più volte interrogato dagli investigatori. Questi, diretti dal sostituto procuratore Fabio Sozio e dal Capitano dei Carabinieri Filippo Tancon Lutteri, non hanno ottenuto nessun aiuto: la vittima si è infatti chiusa in un mutismo assoluto che rende maggiormente difficili le indagini.
La notizia dell’accaduto ha gettato sconforto e paura nel quartiere Immacolata che è stato teatro negli ultimi mesi dell’omicidio di Giovanni Isgrò (a meno di 30 m dal luogo di questo agguato) e di una serie di attentati incendiari a danno di auto e beni private. Nessun dato fa però, al momento, pensare ad un collegamento tra quanto accaduto sabato notte e gli omicidi registratisi nella città del Longano tra dicembre e febbraio scorsi; l’unica certezza è che il mondo sommerso dello spaccio di droga, da decenni presente nel territorio barcellonese, ha insolitamente manifestato con un’azione plateale la propria presenza facendo temere, adesso, la comparsa sul campo di nuove spregiudicate forze determinate a ridisegnare i confini dei propri “territori” d’ azione.