Niente a che vedere con i sentimentalismi di Jacopo Ortis ma, quelle dell’ex dirigente Ppi, risultano essere comunque sempre espressione di tumulti che dilaniano il politico, dividendolo tra fidelizzazione al partito e insoddisfazione per la mala gestione di quest’ultimo.
Che lo strumento dell’epistola sia caro a Frazzica, il quale nei mesi ha comunicato con l’interno e a volte anche con l’esterno del Pd, prediligendo penna e calamaio, non v’è dubbio.
Tendenze filoromantiche a parte, il giornalista, che nell’ultimo semestre ha manifestato dapprima il disappunto sulle modalità di guida dell’apparato locale e ha poi ceduto alle avances dell’on. Grasso assumendo il ruolo di portavoce provinciale in Grande Sud, sempre mettendo tutto nero su bianco, oggi torna all’attacco, sostenendo il bisogno di un rinnovamento interno al partito di Epifani che passi attraverso decisioni eque e che non lascino fuori nessun animo della grande famiglia democratica.
Si è tenuto pochi giorni fa un incontro al Giardino Corallo, al quale hanno preso parte molti dirigenti Pd, che hanno ribadito istanze già manifestate in parte in occasione di quell’agitata assemblea provinciale che ha incoronato Lupo commissario. I temi caldi sono stati ancora una volta la questione relativa ai tesseramenti e l’azzeramento dei circoli. Il coordinatore regionale ha annunciato l’intenzione di organizzare un vero e proprio gruppo di lavoro che sarà operativo da settembre.
E qui casca l’asino perchè se consiglio dovrà essere, bisognerà tenga conto delle diverse sensibilità che costituiscono il partito stesso, senza lasciar fuori dal tavolo delle decisioni nessuno. Proprio questo costituisce uno dei punti salienti dell’ultima lettera di Giovanni Frazzica, indirizzata proprio a Lupo.
“Caro Giuseppe, circa 13 anni fa ho consegnato a Francantonio Genovese il simbolico bastone di comando del Ppi.-si legge nella missiva-. Quello fu l’inizio della sua folgorante carriera e della trasformazione del Partito popolare di Messina da “grande Partito” a “grosso Partito”. Le dimensioni aumentarono ancora, unitamente ai successi, nel corso della fase della Margherita, fino a raggiungere le consistenti e apprezzabili dimensioni elettorali delle elezioni nazionali e regionali, che continuarono anche con la costituzione del Pd”. L’incipit è d’obbligo e non può che portare alle conclusioni che passano dapprima attraverso l’analisi di quel voto d’inizio estate, che ha visto il verificarsi di un vero e proprio referendum sul modo di fare politica in città e su “vecchi” sistemi da sovvertire, come faceva notare qualche giorno fa il prof. Antonio Saitta.
“C’era nell’aria la sensazione che qualcosa non andava- continua la nota- una sorta di odio sociale camuffato da “questione morale” che stava per esplodere (e che poi è esplosa) investendo in pieno il cerchio magico delle famiglie Rinaldi-Genovese, ma devastando poi a cascata quell’incolpevole area del Pd la cui provenienza era il mondo popolare ed ex-democristiano che Genovese incarnava per nascita”.
Il contenuto del comunicato di Frazzica sembra facilmente traducibile nel timore che, a seguito della bufera scatenatasi sui due cognati onorevoli e i loro congiunti, i moderati, che al parlamentare hanno sempre fatto capo, possano subire conseguenze enormi. Coloro che, secondo il mittente, usciranno penalizzati dalla distribuzione di megafoni tramite cui far sentire la propria voce, rischiano d’essere proprio quei democratici di cui il giornalista si sente parte e che proprio nel delfino di Gullotti hanno trovato rappresentanza, sin dalla nascita della Margherita e prima ancora del Ppi.
“E’ positivo che in occasione dell’incontro di Agosto tu abbia detto che bisogna ricostruire all’insegna “della massima inclusività”. Tuttavia, nella misura in cui si è acceso un dibattito sulla necessità di azzerare e ricostruire il Pd, alimentato con straordinaria passione da alcuni esponenti provenienti dall’area ex-Ds, che con Genovese hanno condiviso, fino a quando non sono arrivate le comunicazioni giudiziarie, la gestione del potere e del Partito, nasce il sospetto che si stia creando cortina fumogena dietro la quale la componente ex-comunista possa cercare di ampliare la propria egemonia, soprattutto in vista delle imminenti scadenze congressuali. Si ha infatti la sensazione che né loro, nè altri hanno voglia di rifare il Partito e, men che meno, non c’è nessuno che ha in mente di riorganizzare le componenti che si ispirano all’area popolare sulla base dei loro principi e dei loro ideali”, continua la lettera. “Già diversi amici provenienti dall’area popolare mi hanno dato la loro disponibilità a riprendere il loro impegno nell’ambito del Pd, altri verranno contattati nei prossimi giorni. Questi primi segnali di incoraggiamento mi ripagano di quella cupa atmosfera di mobbing che si era venuta a creare e che mi aveva costretto ad allontanarmi dal Partito, ora è come se sentissi il dovere di completare un lavoro iniziato tanto tempo fa, portare a termine una missione, sostenere un pensiero politico che non può morire”, aggiunge Frazzica che, a suo tempo, fu proprio uno dei fondatori del Pd messinese.
La questione è più ideologica di quanto non si creda e ripropone un problema in essere sin dalla costituzione di questo grande calderone all’interno del quale sono convogliati ex-democristiani, ex-socialisti, ex-comunisti, ex-popolari, e tanti altri ex le cui sigle e sottosigle non possono che confondere-specularmente, avveniva più o meno lo stesso anche nel centro-destra-.
Convivenze forzate per il placet delle urne, insomma, in un’Italia che si travestiva da Inghilterra o Francia, proponendo uno stereotipo bipolare che, evidentemente, poco appartiene alla nostra tradizione.
Le nubi sul partito si addensano sempre più, tanto al livello nazionale che a quello locale, e definire calda questa stagione estiva per i democratici appare quasi eufemistico: agli scalpitanti renziani si sono aggiunti altri nomi extracorrente che, unitamente ai noti Castore e Polluce, hanno apposto le firme al documento realizzato durante l’incontro al Lucky Beach del mese scorso. A ciò si sommano le voci fino a ieri assopite delle differenti coscienze che costituiscono il Pd, si considerino anche le nuove aree al suo interno, i misunderstanding con alleati che a diverso titolo appaiono capricciosi e meno amici di quanto si credesse e il gioco è fatto , al di là del terremoto giudiziario, con conseguenze che ricadono tutte sull’immagine generale del partito prima ancora che su quella dei singoli coinvolti.
Se alla ripresa dei lavori non si sarà giunti ad un quid che costituisca nuova linfa per un soggetto politico la cui credibilità è in stand by già alle latitudini romane, difficilmente si potrà pensare di evitare -presto o tardi- il lutto al braccio, per la sua definitiva dipartita. Chiaro è che la politica ci ha abituati a grandi colpi di scena, ad alleanze fino ad un secondo prima inverosimili e a restyling d’effetto: si sa che la Fenice proprio dalle sue ceneri rinasce, come il Cavaliere ha più volte dimostrato.
Ma quella è un’altra storia, è un altro partito … o forse no(n più).
Non meraviglierebbe infatti, alla luce delle vicende nazionali, veder presto nuovi simboli che, in lotta contro il nemico comune etichettato con l’apposizione “antipolitica”, unificassero -come un ponte- persino figure da sempre antitetiche almeno in apparenza, quelle stesse che oggi condividono e costituiscono gli equilibri di un governo schizoide. Chiaramente questo avrebbe ripercussioni anche sul piano locale. Ma forse stiamo correndo troppo: sembrerebbe quasi fantapolitica e, dopo l’ultimo anno, il condizionale è d’obbligo. (ELEONORA URZI’)