E’ il giallo dell’estate. Un suicidio eccellente su cui la Procura ha già aperto un’inchiesta. Si tratta della morte del gastroenterologo Giuseppe Longo, prosciolto in primo grado dall’accusa di essere stato il mandante dell’omicidio del prof. Matteo Bottari, ucciso con un colpo di lupara il 15 gennaio 1998 e di cui in questi giorni è stata riaperta l’inchiesta.
Il docente universitario si sarebbe iniettato cloruro di potassio, come rivela la vedova Patrizia Zappia che ha annunciato alla Gazzetta del Sud, tramite il suo avvocato di fiducia, la morte del marito, 64 enne.
Un gesto estremo al vaglio della procura che ha già fatto eseguire l’autopsia e che ha aperto un fascicolo contro ignoti con l’ipotesi di reato di “istigazione al suicidio”.
Ad intervenire nella vicenda è stata la stessa moglie del professore, che ha spiegato come sia stata lei a rinvenire il corpo senza vita del marito, notando alcune fiale di cloruro di potassio e delle siringhe sul tavolo accanto al divano, ed una lettera nella quale spiegava il perché della terribile decisione.
“Dopo la morte di mio marito in citta’ – si legge nel documento in possesso della Gazzetta del Sud (fonte edg) – si sono susseguite illazioni di ogni genere che offendono la memoria di un uomo che ha gia’ dovuto subire ingiustizie di ogni genere e che ora merita, quantomeno, di riposare in pace. Sono quindi costretta a dover rendere noto, non ho potuto farlo prima per tutelare i miei figli che meritavano di essere adeguatamente informati in via riservata, che mio marito stanco e prostrato, ha scelto di togliersi la vita lasciando per iscritto un breve ed affettuoso messaggio per i suoi congiunti. La magistratura, da me informata, ha doverosamente aperto un’indagine e ha disposto un esame autoptico che si e’ svolto prima delle sue esequie. Ritengo di non dover aggiungere altro e chiedo rispetto, anzitutto, per il prof. Giuseppe Longo che ha sofferto inenarrabili pene da vivo, poi per i suoi figli ed infine per tutti quelli che gli hanno voluto bene”.
Il professore Longo è stato sempre un personaggio discusso. Il suo nome, infatti, venne fuori anche nell’inchiesta Panta Rei, dove fu imputato e totalmente assolto dall’accusa di associazione mafiosa e traffico di droga, nel processo sulle presunte infiltrazioni della ‘ndragheta all’Ateneo peloritano. Accuse sempre respinte dal gastroenterologo, che venne allora indicato come referente locale del capoclan di Africo, Giuseppe Morabito, detto “u Tiradrittu”.
Nel febbraio 1991 il professore fu anche sequestrato dalla ‘ndrangheta sull’Aspromonte, riuscendo a liberarsi da solo e a fuggire. La sua morte, dai familiari spiegata come il risultato finale di una estrema stanchezza per una vita tormentata da velenose accuse, è destinata a far parlare ancora di lui.