E’ trascorso qualche anno da quando, in occasione delle presidenziali americane che videro per la prima volta Barak Obama in corsa per la Casa Bianca, il Partito Democratico utilizzò l’immagine dell’allora aspirante successore di Bush Jr. per una campagna di rinnovamento. “Il mondo cambia”, era uno degli slogan che, sotto l’attento sguardo dei dirigenti, capeggiava sul faccione dell’avvocato di Honolulu. Guardare all’estero per trovare un “frontman” dal quale farsi ispirare fu una mossa intelligente di Walter Veltroni, consapevole del fatto che nel nostro Paese mancassero testimonial spendibili, al pari del leader a stelle e strisce. Certo è che, se alle pareti della stanza di un teenager fosse stato appeso un poster con il viso di, che so, ad esempio Rosy Bindi, nella migliore delle ipotesi al giovane sarebbero presumibilmente spettate notti disturbate da innumerevoli incubi, al peggio gli sarebbe stato imposto un TSO. Ironia (facilissima) a parte, sono trascorsi alcuni anni da allora e, finalmente, il centro-sinistra sembrerebbe aver scoperto, al suo interno, una figura che, come Veltroni a suo tempo, gode di stima e piace all’elettorato ma, a differenza dell’ex sindaco di Roma, è decisamente più “rock” in quanto a stile.
A possedere una gigantografia di Matteo Renzi non ci si trova nulla di strano, specie se indossa quel chiodo che lo fa sembrare un moderno Fonzie. “Ecco il nuovo volto del Pd, quindi!”, la strada sembrava tracciata. E invece…alle primarie della coalizione l’amministratore fiorentino ha la peggio e soccombe sotto la barca di voti del competitor Bersani, già apprezzato come parlamentare, ministro e dirigente di partito e sostenuto dalla struttura intera, non tanto per i meriti in sé ma per contrastare il “ragazzetto” che girava per l’Italia gridando “mandiamoli tutti a casa”, laddove per tutti intendeva proprio le colonne portanti del Pd.
Vittoria di Bersani alla competizione invernale…certo, neanche lui troppo idoneo al famoso poster da camera. Ma “Matteone” non si arrende e tra i democratici si creano schieramenti, aree, fazioni che tra loro si contrappongono. Da una parte il “neanche quarantenne” che parla di rottamare i vecchi della politica (non anziani ma da troppi anni al timone, in modo evidentemente insoddisfacente), dall’altra un serio veterano, colpevole di rappresentare l’apparato e quindi la politica che non va. Intanto il signore della città del Giglio pubblica libri, si presta a scatti per i giornali di Signorini, si comporta come un leader dando indicazioni ai suoi su tutto -compresa la scelta del Presidente della Repubblica-, criticando aspramente i suoi amici di partito e si reca persino ad un prime time di canale cinque per farsi raccomandare dalla De Filippi al suo pubblico di adolescenti, sì proprio quelli che appendono i manifesti in camera, staccati dalla pagina centrale dei magazine. E proprio alcune di queste ragazzine ieri erano sotto il palco di Piazza Duomo, accompagnate dalle mamme e armate di fotocamera: sembrava quasi di stare al concerto di Justin Bieber, mancavano solo i cuoricini fluo e le t-shirt brandizzate. Ah no, quelle c’erano, “sì Messina” ovviamente.
“Una cosa ho mutuato da Renzi: l’ostinazione nel far capire il messaggio del NOI: non stiamo eleggendo un sindaco ma il primo servitore della città, l’ultimo cittadino. E’ il concetto del NOI che deve passare”, esordisce Felice Calabrò, candidato del centro-sinistra. Spiega, come già fatto nei giorni scorsi, il perchè abbia scelto di non ricorrere al TAR e parla del bene per Messina. Gli subentra frettolosamente il sindaco di Firenze che ha i minuti contati, giacchè lo attendono a Ragusa per un altro mini-comizio: bè, forse lì sarà meno mini, giacchè il candidato che è giunto al ballottaggio appartiene alla sua corrente. Recita un canovaccio che è potenzialmente adattabile ad ogni realtà, da Trento a Latina, da Nuoro ad Augusta; parla dell’importanza di amministrare, di farlo bene e con coscienza, tagliando le gambe a quella politica che non va e che per decenni ha inquinato il nostro Paese. Un discorso che, in questi mesi, gli abbiamo sentito fare in ogni dove: tv, piazze, sale stampa. Politica dei signori delle tessere, politica delle alleanze strette solo per delle poltrone, politica dell’apparato che impone, politica dei signori che non si schiodano dai loro ambiti di potere. (Ma Renzi sa dov’è venuto a parlare?).
Inutile dire come queste dichiarazioni che abbiamo parafrasato -senza distorcere il senso del virgolettato, come un anno di registrazioni audio del toscano possono testimoniare- servano battute e ghigni su un piatto d’argento a quanti vedono, nel candidato del centro-sinistra a Palazzo Zanca, una sorta di prestanome, un viso pulito alle spalle del quale si celano i “soliti nomi”. Fatto sta che, mentre le bandiere sventolano in piazza, il politico venuto dalla culla del Rinascimento si lascia andare a commenti relativi ai cosiddetti “scontenti” e si lancia in uno screening sull’elettore medio, sotto lo sguardo venerante dei supporters, alcuni dei quali avevamo visto alla chiusura della campagna di Garofalo due settimane fa, e anche a quella di Accorinti ovviamente: intendiamoci, sono i classici lacchè in cerca di spazio che si mostrano alla corte di chi pensano possa diventare Re. Abitudine malsana dell’homo italicus e, nello specifico, del buddacius. Non ci riferiamo a tutti ovviamente, ma un affondo a quella minoranza consentitecelo, giacchè offensivo per la cittadinanza e per gli stessi candidati.
I delusi dalla politica, coloro i quali sono stati illusi da promesse da poco e che oggi pensano di non andare a votare: a queste persone bisogna spiegare che occorre recarsi al seggio per poter cambiare le cose! (tutti d’accordo).”Ci sono i delusi da Grillo -il fenomeno del momento- ci sono i delusi del centro-destra, ci sono anche i delusi dda nnoi”, urla con il suo forte accento che piace alla folla, tanto alle figlie quanto alle mamme oltretutto .
Dove sta il problema? Ricorderete che, nei giorni passati, vi avevamo raccontato della diade PalanoQuero-Russo, che aveva richiesto pubblicamente al proprio capoarea di NON venire a Messina, sostenendo che la sua presenza all’evento di chiusura della campagna di Calabrò avrebbe significato un tacito appoggio a quella “politica che non va”, combattuta dallo stesso Renzi -a parole- in tutti questi mesi. E’ evidente che la richiesta dei due renziani non èstata accolta dal loro leader, il quale, sempre in merito alla questione “elettori delusi”ha cosìspecificato: “dobbiamo dire basta alla cattiva politica, basta alle inutili polemiche interne tra le correnti”. Siamo tutti una famiglia: volemose bene, in buona sostanza. Quindi no alle diatribe interne, no alle dicotomie e le contrapposizioni tra aree.
Ma, domandiamo retoricamente: non era stato proprio lui a creare un filone interno al partito che era in netta rottura col partito stesso e i suoi dirigenti? E lui che oggi bacia, abbraccia e applaude il candidato di suddetto partito, è consapevole del fatto che egli è supportato in primis da quell’area che a Renzi stesso ha fatto la guerra in occasione delle primarie natalizie? Sa che ai “suoi amici”, o quelli che tali dovrebbero essere, è stato riservato un trattamento che è evidentemente stato il prezzo da pagare per aver scelto di stare sul carro del sindaco fiorentino? E’ a conoscenza delle beghe del Pd messinese? Sia chiaro che il “cantitato Felice” (come lo chiama il presidente Crocetta) è assolutamente fuori dalla logica di questa analisi: lui e chi per lui si è mosso bene ed é riuscito a godere del giusto placet di un personaggio che oggi è amato dalle folle e che domani sarà segretario di un partito, il partito a cui Calabrò stesso appartiene. Ergo suddetta osservazione non è relativa a Calabrò, il cui discorso è apparso oltretutto convincente e maturo.
La venuta di Renzi, come avevamo già detto, è stata un colpaccio, ottimo e mirato, per il Pd e la coalizione in toto. Ciò che appare criticabile è Renzi stesso, che si è mostrato – come sempre – l’ ottimo oratore che è, in gamba e dotato di quell’ars che seduce l’ascoltatore, ma chi non era troppo ipnotizzato dai suoi modi ed ha ascoltato i contenuti, a fronte dei passaggi locali che hanno riguardato i suoi supporters, e la controparte interna al Pd, non può che aver provato un forte disappunto in merito a quella puntualizzazione sulle dicotomie e le contrapposizioni tra aree. Pare evidente che Renzi parli già da segretario e in quest’ottica bisogna tener conto di molte sensibilità, preferendone alcune ad altre. Così come è ovvio che, tra i signori delle tessere e i signorini delle battaglie per il Tirone, per spostarsi da Firenze a Roma pesano più i primi. A questo punto, forse, i renziani di casa nostra quel poster col faccione del loro “ex-amico” l’avranno staccato e, in cerca di una nuova musa, avranno probabilmente riappeso alle pareti quello con l’immagine di Obama, quel che è certo è che in qualche modo e da qualche parte dovranno o vorranno ricollocarsi, staremo a vedere da quale parte giungerà la prossima mossa. #in-co-e-Renzi (ELEONORA URZI’)