Stavolta alle solite quattro poltroncine, sul palco di Democracity, se n’è aggiunta una quinta. Cinque gli ospiti, cinque i candidati a sindaco e, presumibilmente (l’avverbio è d’obbligo, giacchè vi erano dei contendenti assenti), tra loro vi era il futuro inquilino di Palazzo Zanca. La trasmissione è stata lunga, anche più del solito e nonostante a momenti di brevi picchi adrenalinici se ne siano alternati almeno il doppio tra pacati monologhi, educati scambi d’opinione e qualche scenetta degna più di un cabaret che di una tribuna politica, i dati emersi sono molti e qui di seguito cercheremo di metterli in luce.
Ai due estremi del palco i candidati sindaco, rispettivamente, di Reset da una parte e del centro-destra dall’altro. Tra Enzo Garofalo e Alessandro Tinaglia, il pacifista Renato Accorinti (che in queste occasioni è sempre molto più simile ad un guerrigliero che al Dalai Lama), l’ex city manager Gianfranco Scoglio e, proprio in mezzo, il vincitore delle primarie del centro-sinistra, Felice Calabrò.
Prima tranche come al sol ito deputata al freestyle, un tempo di tre minuti circa, durante i quali gli intervenuti alla trasmissione possono esprimere liberamente qualunque concetto, dalla presentazione della loro persona a quella del programma che intendono proporre all’elettorato. Conclusosi questo primo momento, è la volta di alcune domande assestate ad hoc dalla redazione, una per ciascun candidato. Le questioni politiche e programmatiche sono numerose, ma la ratio del mancato sposalizio tra Reset e Accorinti apre il dialogo. Si discute anche di Piano Strategico 2020, il che conduce inevitabilmente a portare l’attenzione di pubblico e ospiti anche sulla questione relativa alla concessione della Rada San Francesco, sul destino della quale, domani, l’Autorità Portuale sarà chiamata a pronunciarsi.
Quindi si passa al solito incrocio di domande, nel corso del quale ogni competitor può porgere ad un altro una domanda … ecco, questo è il momento in cui, durante un dibattito alla pari, si tende a mettere in difficoltà il contendente che si “teme” di più. Ebbene, stando così le cose e osservando le scelte che chi ha avuto facoltà di decidere (perchè ricordiamo che è il sorteggio a stabilire turni e ruoli) ha fatto, sembrerebbe quasi che sia Accorinti l’uomo jolly o anti-jolly. Strano ed emblematico a dirsi, ma l’alternativa è ritenere che il professore sia stato opportunamente impiegato come schermo, per evitare che la tenzone riguardasse gli esponenti dei partiti tradizionali, ossia il Pd e il Pdl.
Le uniche reali punte di scontro hanno riguardato il democratico Calabrò, che, dopo aver dichiarato che all’interno del suo partito fortunatamente non ci sono fratture (nonostante gli sia stato fatto notare che la questione relativa alle presidenze di circoscrizione ha generato, anzi acuito, determinate voragini), è stato oggetto delle domande di Tinaglia, relativamente al tema della formazione e al conseguente scandalo che ha tenuto banco (mica tanto!) qualche mese addietro. In realtà il casus belli non è stato rappresentato da una spontanea domanda del candidato Reset, ma da un intervento del pubblico. Ciò nonostante, la miccia è stata accesa e la critica a Calabrò si é rivelata piuttosto aggressiva, come nelle migliori tradizioni dei forum politici.
Scontri diretti e non tra l’architetto del movimento che spera in una “città possibile” e il candidato del centro-sinistra; scontri (qui, per lo più, direttissimi) tra Scoglio e Accorinti…non manca niente? Certo che sì. Quiete assoluta fra i due favoriti d’obbligo. I due partiti antagonisti non sembrano aver niente da dirsi, neanche una parola. Si snobbano o cosa? La domanda sorge spontanea.
Nel giorno in cui l’Italia porge il suo estremo saluto ad una delle colonne portanti della politica nostrana, il sen. Giulio Andreotti,colui che -nel bene e nel male- ha segnato epoche e rappresentato decenni del Potere -con la P maiuscola- , uno dei capisaldi della DC, bè sembra quasi che si abbia un ritorno alle origini, tant’è che l’aria profuma più di centro che di destra o sinistra. Garofalo da una parte e Calabrò dall’altra restano ognuno al proprio posto senza mai urtarsi, scontrarsi e neppure incontrarsi o appena sfiorarsi, in realtà.
Il dato è interessante di per sé e lascia spazio a molte osservazioni, alcune delle quali potrebbero sembrare quasi fantascientifiche se non si guardasse però agli scenari nazionali: e una volta osservate le dinamiche romane, niente sembra più impossibile a urne chiuse.
Di fatto sappiamo bene che da qui a giugno molte cose potrebbero cambiare e qualche assetto essere scosso e modificato, siamo pronti ad ogni esito ma, di certo, già ieri sera, qualcosa di quantomeno strano sembra si sia verificato. E’ vero però che la storia è ciclica e per osservare menàge che profumano di democristianità o -per dirla in modo banalotto- da “volemose bene”, basta guardare ad una manciata di anni fa, quando un giovane Genovese vestiva i panni di assessore niente popò di meno che nella giunta di quello che, poco tempo dopo, sarebbe stato suo antagonista, il barcellonese Peppino Buzzanca.
Con ciò non vogliamo suggerire larghe intese et similia sul modello attualmente impiegato a Roma, ma chissà che non ci sia così tanto accordo tra le parti (accordo, compiacenza, simpatia, “unionechefalaforza”, nostalgia dello Scudo Crociato o della prima Repubblica e via dicendo), da rendere possibile l’ipotesi di locali larghe intese, sempre nel nome sacrosanto del tanto propugnato “bene comune”!(ELEONORA URZI’)