Si è da poco concluso l’incontro dell’ “Artemio Franchi” di Firenze, che ha visto gli uomini di Montella trionfare sull’Inter con un inequivocabile quanto meritato 4-1, ma per archiviare il venticinquesimo turno di serie A si dovrà attendere domani sera, quando nell’altro stadio intitolato ad Artemio Franchi -quello di Siena- la compagine di casa affronterà nel monday night la Lazio, per l’ultima porzione di uno spezzatino impiattato già dal venerdì sera.
Iniziando la disamina proprio dal posticipo, trovare aggettivi per descrivere i 90 minuti dei nerazzurri costituisce esercizio davvero arduo ma, probabilmente, gli inflazionati “sconcertante” ed “imbarazzante” sono quelli che meglio si confanno alla prestazione offerta sul rettangolo di gioco dai giocatori allegramente assemblati da Stramaccioni; si perché chiamarli squadra non si può, non stasera per lo meno. Il risultato non fa una grinza, anzi forse sta pure stretto ai toscani, considerato che il migliore in campo in casa meneghina è stato Handanovic, abile ad evitare che il passivo non assumesse contorni ancor più catastrofici. I viola hanno gigioneggiato per un’ora e mezza al cospetto di un avversario mal disposto in campo e parso completamente allo sbaraglio, privo di un qualsivoglia canovaccio tattico da seguire. Alla chiusura del mercato di Gennaio, ad Appiano Gentile e dintorni si erano spese tante belle parole per gli acquisti di Kovacic e Kuzmanovic ma stasera a fare la differenza sono stati due “-IC player” gigliati, quei Ljajic e Jovetic -esigua ma preziosa eredità della gestione Corvino- che son riusciti costantemente a penetrare, come lama nel burro, nell’annaspante retroguardia interista. Di campanelli d’allarme ne erano già suonati in abbondanza in passato ma da stasera, nelle orecchie del presidente Moratti, rimbomberà l’imponente campana del Cupolone. Già, quella colpita una manciata di giorni fa dal noto fulmine a ciel sereno. Insomma, probabilmente occorre intervenire adesso sulla guida tecnica, perché le premesse per rinverdire i “gloriosi fasti” di Corrado Orrico e del primo Roy Hodgson sembrano esserci tutte.
Il clou della giornata era però indubbiamente rappresentato dalla sfida a distanza, in ottica tricolore, tra Juventus e Napoli. Nell’affascinante anticipo del sabato sera, una brutta, bruttissima Juve ha ceduto il passo alla Roma all’Olimpico. Ha deciso Francesco Totti al 58’, con un missile terra aria che è andato a disintegrare le ragnatele annidate sotto la traversa. Con questa segnatura, il Pupone è giunto a quota 224 reti nella massima serie, ad un solo gol da Nordhal, secondo marcatore di tutti i tempi a quota 225: chapeau, e ancora lunga vita calcistica al capitano giallorosso. Hanno destato qualche perplessità le dichiarazioni di Antonio Conte nel dopo partita. L’allenatore bianconero ha accettato la sconfitta ma, nell’accampare come unica scusante la stanchezza post Champions, è incappato in uno sfortunato autogol, assodato che non si dovrebbe mai chiedere ai propri giocatori “se se la sentono di scendere in campo” bensì scegliere, di volta in volta, l’undici che garantisce maggior affidabilità in base alle risultanze degli allenamenti. Non si possono, invece, dare tutti i torti al mister salentino sulle lamentele circa la disparità di trattamento, perpetrata dalla Lega, riguardo alla calendarizzazione degli incontri delle squadre impegnate in Coppa dei Campioni. Al Milan è stato concesso addirittura l’anticipo al venerdì in vista della gara di coppa di mercoledì, in casa contro il Barcelona (ben 5 giorni di stacco quindi); mentre la capolista, vittoriosa martedì a Glasgow contro il Celtic dopo soli 3 giorni dalla sfida con la Fiorentina, ha poi dovuto giocare nuovamente di sabato. Risultato? La Juventus ha disputato 3 partite in 7 giorni, di cui una all’estero con tanto di fatiche da trasferta, mentre il Milan ne giocherà 3 in 10, tutte in Italia. Perché? Basta guardare l’attuale management della Lega Calcio: Galliani è vice-presidente, Agnelli neppure consigliere. Domandare è lecito, rispondere solitamente è cortesia, stavolta pura retorica.
Lasciando gli spogliatoi e tornando al campo, in casa Napoli ci si aspettava tutt’altro esito dalla sfida contro la Sampdoria. Non è, infatti, bastato il ruggito del San Paolo a trascinare Cavani e compagni a quella vittoria che avrebbe portato gli azzurri a soli 2 punti dalla vetta, con lo scontro diretto del 1 marzo già nel mirino in chiave sorpasso. Nel primo tempo i doriani hanno ottimamente tenuto botta, rendendosi anche più pericolosi dei padroni di casa in zona gol; nella seconda frazione i partenopei hanno assediato i blucerchiati, schiacciandoli specie nell’ultima mezzora, ma di occasioni se ne son viste pochissime, un palo di Hamsik ed un paio di mischioni: poca roba per superare il fortino eretto da Delio Rossi -oggi squalificato- a difesa di Romero. Difatti, in mixed zone, assente l’influenzato dell’ultima ora Mazzarri, le recriminazioni napoletane hanno riguardato più il disastrato manto erboso che il merito dei 90 minuti.
Procedendo a ritroso, torniamo al summenzionato match di San Siro di venerdì, che ha visto il BaloMilan opposto al Parma. No, non è un refuso bensì un neologismo che ormai risulta quasi d’obbligo, considerato l’impatto devastante di Mario Balotelli sulle sorti del team guidato da Massimiliano Allegri. Quattro gol in tre partite, tutti decisivi, per un totale di 7 punti che recano nitida in calce la firma dell’attaccante della nazionale. Contro gli emiliani, il minuto buono è stato il 78’, quando il totem di colore ha trasformato -con un classico interno a giro a scavalcare la barriera- la punizione del 2-0 che ha poi reso ininfluente il gol della bandiera realizzato da Sansone che, dopo Inter e Juve, si è concesso il lusso di timbrare il cartellino anche contro la terza storica grande del calcio italiano. Domenica prossima alla “Scala del calcio” andrà in scena il derby della Madonnina ma a Milanello, in queste ore, i fari sono tutti puntati sull’attesissima andata degli ottavi di Champions League contro Messi e compagni. Intuibile, e comprensibile, il grande rammarico dei tifosi milanisti per l’assenza del loro nuovo idolo in un match così importante, da regolamento dato che in stagione aveva già calcato il massimo proscenio continentale con la maglia del Manchester City.
Passando in rassegna con una veloce carrellata gli altri incontri del weekend, da segnalare in chiave salvezza i successi del ritrovato Genoa (1-0 ai danni dell’Udinese) e del Cagliari, corsaro a Pescara grazie alla doppietta di Marco Sau. Tre punti in cassaforte anche per il Toro di Ventura, bravo a non disunirsi dopo il pareggio di Denis ed a trovare con Birsa il meritatissimo 2-1 finale; mentre al Catania è bastato un gol di Almiron per avere la meglio sul Bologna al “Massimino”, anche se la cosa ormai non fa più una notizia considerato l’eccezionale campionato degli etnei. L’altro pareggio della giornata, infine, si è registrato al Bentegodi di Verona dove, nel primo anticipo del sabato, Chievo e Palermo hanno impattato sull’1-1 per effetto delle reti di Formica e Thereau su calcio di rigore. (JODY COLLETTI)