Sul palcoscenico del Vittorio Emanuele arriva, dal 13 al 17 febbraio, la riduzione teatrale di uno dei più famosi romanzi della letteratura mondiale: il regista Guido De Monticelli mette in scena in forma di dramma “I fratelli Karamazov”, ultimo romanzo di Fëdor Dostoevskij, pubblicato a puntate nel 1879, dove il tema del male e dell’esistenza di Dio si fanno rovente dibattito sul palcoscenico. L’incontro fra i tre fratelli – l’evangelico Alesa, il passionale Dimitrij e il tormentato e raziocinate Ivan – avviene sullo sfondo di un terribile delitto: l’uccisione del padre, figura buffonesca e filistea. Intorno ai fratelli e alla torbida e divorante azione in cui sono implicati, si dibatte una miriade di creature, intrappolate nell’eterna lotta fra il bene e il male. Ma in Alesa si incarnano il sogno e il presagio che il regno di Cristo si instaurerà sulla terra e l’amore universale vincerà il dolore.
La drammaturgia dello spettacolo, coprodotto dal Teatro Stabile della Sardegna e dal Teatro Metastasio Stabile della Toscana, è firmata da Roberta Arcelloni e dallo stesso De Monticelli; scene di Lorenzo Banci e Federico Biancalani; costumi di Zaira De Vincentiis, musiche di Mario Borciani, disegno luci di Loic Francois Hamelin. Sono dodici gli interpreti: Mauro Malinverno, Corrado Giannetti, Francesco Borchi, Fabio Mascagni, Luigi Tontoranelli, Cesare Saliu, Paolo Meloni, Daniel Dwerryhouse, Mariagrazia Sughi, Silvia Piovan, Elisa Cecilia Langone e Valentina Banci.
Nelle sue note di regia De Monticelli parte da una frase famosa del romanzo: «Se anche dovesse rimanere un solo buon ricordo nel nostro cuore, anche quello potrebbe servire un giorno per la nostra salvezza». Sono le parole con cui Alësa, il più giovane dei fratelli Karamazov, si rivolge alle sue più care creature, ai bambini che, sul finire del libro, hanno accompagnato la piccola bara del loro compagno Iljusa, morto di tisi, nel suo ultimo viaggio. È il “discorso presso la pietra”, che Alësa pronuncia a coloro che presto saranno uomini, e nel quale è chiara l’allusione a un altro famoso discorso, il Discorso della Montagna.
Scrive poi il regista: «Un manipolo di bambini scorrazza per le pagine dei “Fratelli Karamazov”. Sono lo specchio di un’innocenza spesso oltraggiata e violata, che farà dire a Ivan Karamazov al fratello Alësa: “…se le sofferenze dei bambini servissero a raggiungere la somma delle sofferenze necessarie alla conquista della verità, allora io dichiaro che tutta la verità non vale quel prezzo”. “I fratelli Karamazov”, ultimo romanzo di Fëdor Dostoevskij (pubblicato a puntate su “il Messaggero russo” a partire dal gennaio 1879, lo scrittore riuscì a completare l’ultimo capitolo solo pochi mesi prima di morire) sono un grande palcoscenico dove il tema del male si dibatte e viene dibattuto in tutte le sue varianti, in una “orchestrazione polifonica” – secondo la definizione di Bachtin – che mette a nudo e dispiega una pluralità di concezioni etiche, filosofiche, sociali e politiche. Sullo sfondo la figura luminosa di padre Zosima, presso il cui monastero il giovane Alësa fa il suo noviziato. Ma Alësa viene mandato nel mondo dal suo padre spirituale, lontano dalla dolcezza del maestro, dove c’è più bisogno di lui, là dove si consuma un’azione divorante e torbida in cui sono implicati i fratelli e il padre e una miriade di altre creature intrappolate nell’eterna lotta tra il bene e il male: è un lacerante viaggio nell'”umano” nel quale la conoscenza che il giovane, dotato di amore evangelico, fa dei fratelli – Dmitrij, assatanato dall’eros come il padre, ma anche capace di grande nobiltà, e Ivan, preda di una libido della ragione che lo porta a farsi negatore di Dio – si fa frutto amaro e insieme dolcissimo di rinnovamento spirituale. Ivan vuole restituire a Dio il biglietto per quel paradiso che costi la sofferenza anche a un solo bambino. Ma in Alësa, che eredita la parola di padre Zosima, si incarna il sogno di Dostoevskij, e il presagio che il regno di Cristo si instaurerà sulla terra e non in un ipotetico aldilà, perché l’amore universale vincerà il dolore e la morte e la terra tornerà come alle origini».
TEATRO VITTORIO EMANUELE
Mercoledì 13, venerdì 15 e sabato 16 febbraio ore 21.00;
giovedì 14 e domenica 17 febbraio ore 17.30
Prezzi: platea 30 euro (ridotto 23), prima galleria 20 euro (15), seconda galleria 8 euro (5)
Durata dello spettacolo: 3h e 20′ (con intervallo)