Le vittime della mafia sono state tante, e tra esse purtroppo non pochi Barcellonesi. Una di queste è Beppe Alfano, ricordato in questi giorni da un workshop voluto dalla figlia Sonia a memoria sua e di altre vite spezzate. Alla fine della prima giornata di convegno un’immagine più chiara si è impressa nella mente di chi ha potuto ascoltare quanto è stato detto sulla più grande città della provincia messinese come anche sui rapporti tra le criminalità internazionali.
Elemento sul quale sono stati concordi tutti i relatori è quello che riguarda la velocità e facilità elevatissime con cui le mafie (quindi tutte le associazioni criminali organizzate) riescono ad interagire tra loro imparando le une dalle altre e cambiando continuamente volto e forma.
Si ha a che fare quindi, dalla malavita italiana a quella nordafricana, con una creatura plastica sulla quale indagare senza risparmio di forze e con strumenti adeguati: le associazioni criminali sono unite anche quando si scontrano.
Proprio gli strumenti sono secondo tutti, forze dell’ordine e non, il tallone di Achille della lotta alla mafia, quel qualcosa sul quale sembrano quasi fare affidamento i criminali stessi. Tra i primi ad accennare indirettamente il problema vi sono stati Gianni Baldi (Direttore della sezione “Droghe ed associazioni criminali“ dell‘Interpol), Filippo Dispensa (Responsabile Interpol Europa) e Davide Ellero (Unità O2 “Serious and organized crime”) che hanno illustrato nel dettaglio i mezzi di cui dispongono le unità investigative per le quali lavorano, mezzi diversi perché ognuno ha un proprio database, propri contatti ed operatori come è giusto che sia.
Questa diversità però rischia di essere un ostacolo senza una collaborazione già in corso ma riscontrante problemi nel momento in cui, soprattutto in organismi comunitari come l’Europol, alcune nazioni avanzano veti all’applicazioni di norme come il sequestro dei beni e l’arresto ritardato. Perché 27 stati membri significano 27 costituzioni ed ordinamenti giuridici diversi. Così con meraviglia si scopre, per chi non lo sapesse già, che in Germania non esiste un ordinamento antimafia. Perché sino a tempi recenti i Tedeschi hanno creduto che la mafia fosse un male solo italiano capace di colpire soltanto altri Italiani sul territorio tedesco.
Ma dal giorno della strage a Duisburg, i cittadini della Germania sanno che non è così e ritrovandosi totalmente disarmati di fronte alle tante associazioni che si sono installate nei suoi confini senza inizialmente far rumore. Così una legge antimafia tedesca è stata ufficialmente chiesta da Jorg Ziercke, Presidente della BKA (la polizia federale tedesca). Egli ha dichiarato ai microfoni che: “Il codice penale italiano comprende il reato di associazione mafiosa; e’ indispensabile che lo faccia anche quello tedesco.”
Una lacuna che attualmente impedisce i procedimenti giudiziari verso criminali che così trovano nella Germania (e non in qualche paradiso tropicale) una terra nella quale trasferirsi per ricreare attività illecite di stampo mafioso che in Italia erano state da poco smantellate. Una sorta di fuga volontaria non dalle tasse ma dagli ordinamenti che prevedono i processi, i sequestri antimafia ed il 41 bis.
Riguardo tale problematica si è ben spiegato Giovanni Salvi che ha ribadito come la fondazione dell’UE sia stata un passo importante: “Col passaggio dalla CEE all’UE l’Europa si è unita non soltanto economicamente, come era con la prima delle due, ma anche politicamente. Questo deve essere il primo passo per la realizzazione di un progetto al quale guardiamo tutti con grande fiducia: il Pubblico Ministero Europeo.” Cosa sarebbe? Una sorta di giudice investigativo comune a tutti gli stati membri per l’istituzione di processi europei contro la mafia. Perché quest’ultima (italiana e non) si sposta sul territorio europeo molto più di una comitiva di turisti autostoppisti: il trattato di Schengen li agevola ed i grandi capitali a loro disposizione permette il trasferimento di residenza da una nazione ad un’altra. E’ qui che l’Italia può aiutare veramente l’Europa: l’Italia è la nazione col più articolato statuto antimafia ed è anche quella che più di tutte ha una storia pregressa di lotta alle forme criminali organizzate.
Per questo le forze presenti alla manifestazione barcellonese sono internazionali, dalla già citata polizia tedesca all’FBI ed alla DEA. Serve soltanto creare un ordinamento internazionale che possa, partendo dall’Europa Unita, permettere le collaborazioni tra tutte loro.
Un’impresa che, ribatte Nicola Gratteri, richiederà probabilmente anni e che deve essere soltanto uno dei traguardi da raggiungere. Gratteri informa la platea, che lo ha ringraziato con un applauso prolungato, della differenza tra la semplice delinquenza e la criminalità organizzata, illustrandone le forme e le condizioni continente per continente. Dall’Europa alla Cina alle Americhe, con distinzione tra Canada ed USA.
Il Canada ad esempio ha ascoltato soltanto adesso gli allarmi lanciati dalle forze italiane che da anni indicavano il paese delle giubbe rosse come il territorio preferito dell’Ndrangheta: le cellule di Toronto e dintorni sono gemelle di quelle calabresi, un “privilegio” se si guarda attentamente alla fitta ed articolata rete che caratterizza l’associazione in sè. Invece che semplici punti di appoggio in Canada si sono create, anzi ricreate (dopo gli effetti degli arresti e delle indagini in Italia) le ‘ndrine originarie, coi figli dei capi calabresi e non soltanto. Così emerge il pericolo ‘Ndrangheta che è maggiore, al momento, di quello della Mafia e della Camorra che però sembrano volersi rifare: se Ziercke dice che la ‘Ndrangheta è la maggiore presenza criminale nel suo paese, Gratteri ricorda come essa abbia contatti praticamente ovunque. E Sonia Alfano riporta all’attenzione il privilegio del quale gode presso i narcotrafficanti mondiali: i calabresi non devono lasciare ostaggi ai fornitori perché di loro si fidano tutte le associazioni di spaccio, dalla Colombia al Messico all’Afganistan. Perché sono “un’azienda seria”.
La parola azienda non è usata qui a caso perché tutte le associazioni criminali, ‘Ndrangheta in testa, traggono il proprio potere dai capitali finanziari.Solo bloccando o sequestrando questi si può colpire la testa della piovra. Ecco allora lo sfogo di chi non concepisce l’atteggiamento di magistrati ed altri operatori di sicurezza che pensano che i sequestri siano una violazione dei diritti personali del cittadino e/o che considerano le indagini antidroga (principale fonte di capitali) e quelle antimafia due cose diverse tra loro e da tenere separate. Se non si supera questo altro ostacolo mentale e culturale non si avrà mai successo.
Quindi un ordinamento antimafia in tutti gli stati membri, un organismo antimafia europeo (già sorto con Sonia Alfano come primo presidente) e l’unione di database e reparti investigativi sono i primi passi da percorrere per cominciare davvero uno scontro quasi ad armi pari. Perché purtroppo è, per logica di cose, sempre il crimine il primo a sferrare il colpo.
Importanti anche gli interventi di Scarpinato che ha ribadito l’urgenza di uscire dal “territorio di cova” (Sicilia, Calabria, Campania ecc.) per orientarsi ove risiedono il braccio e la borsa di queste organizzazioni che oramai in Italia hanno per lo più la “mente”: si organizza in Italia e si agisce all‘estero.
Un fuori programma focalizzato sul territorio barcellonese si ha con Giorgio Nicola, Procuratore di Barcellona che, chiamato a sorpresa da Sonia Alfano, ribadisce comunque come l’intuizione dell’evoluzione delle associazioni mafiose può derivare solo da uno studio delle dinamiche interne al nostro paese: capire cosa sta succedendo a Barcellona P.G. può aiutare a prevedere i contraccolpi in tutti i luoghi in cui Cosa Nostra ha potere. Perché Cosa nostra non funziona attraverso microrealtà come le ‘Ndrine ma tramite “tessuti provinciali”: v’è il tessuto palermitano, catanese, ennese, messinese ecc.
E, triste primato per la città di Beppe Alfano, “Barcellona Pozzo di Gotto sta a Messina come Corleone sta a Palermo: in pratica il nucleo del tessuto mafioso messinese è a Barcellona.” Parole testuali del Dott. Nicola che si rivelano triste eco di quelle che hanno aperto e chiuso il secondo pannello della manifestazione, dedicata al ruolo del giornalismo contro le mafie:
“Barcellona ancora una volta è passata agli onori delle cronache nazionali e purtroppo nel modo e per i motivi peggiori. E non certo per colpa del cronista che ha il dovere di riferire ed informare. Non è la stampa ad incoraggiare, facendo da cassa di risonanza all’industria del crimine. Solo cervelli distorti o peggio ancora illanguiditi da puerili illusioni possono pensare di credere simili balordaggini. Beppe Alfano”.
Parole che sono purtroppo attuali da un lato, e dall’altro fanno tornare alla mente gli anni in cui le stragi di mafia nella nostra provincia erano coperte dal silenzio per volere di persone, persino istituzioni, che volevano che non si parlasse della cosa perchè rea di fare cattiva pubblicità al territorio. Perché è più importante per alcuni far sembrare tutto a posto piuttosto che mettere in luce i problemi ed affrontarli. Questo tipo di comportamento ha dato alle mafie il grande vantaggio del quale hanno goduto venti anni fa e che ancora oggi li pone un passo avanti a chi dà loro la caccia.
Anche a causa di questo pensiero qualcuno ha pensato di trattare con lo stato e/o la mafia, detta “trattativa stato mafia”: evitare le stragi per non dare una cattiva immagine, patteggiare (questa l’accusa) per nascondere il potere della criminalità organizzata che invece proprio così cresceva. Negare il diritto all’informazione o sabotarlo, cominciando persino con la messa in onda di servizi importanti nel cuore della notte, è quanto di peggio si possa fare per un paese che è colpito dalla malattia chiamata mafia.
Bisogna parlarne insomma, scandalizzandosi di fatti come l’odierna revoca della scorta ad una persona sotto continua minaccia come Salvatore Vella che dalle prossime ventiquattro ore sarà senza protezione.
Il sabotaggio inizia col dire che proiettare film di mafia in tv da una cattiva immagine della Sicilia quando questa stessa dovrebbe chiedere di parlarne il più possibile per dimostrare che è disposta a demolire il muro di omertà che ha fatto da recinto a Cosa Nostra. Parlarne è importante e questo è il primo motivo per il quale i giornalisti, da quelli di guerra come Anna Politkovskaja a quelli dei cartelli della droga e delle mafie in generale, sono i primi bersagli dei killer.
Alla famiglia Alfano è stato consegnato il tesserino che il loro parente non fece in tempo a chiedere perché già dopo i primi articoli fu bollato come scomodo ed ucciso. Un tesserino che, dato il gesto estremo che è servito per zittirlo, è del tutto meritato.(CARMEN MERLINO)