Il Comune è un evento creativo, un atto costituente, non una procedura. E’ questo il motivo per cui il Teatro in Fiera è divenuto un Luogo Comune. Non perché (non solo perché) è possibile che possa essere messo in sicurezza e restituito alla fruizione pubblica. Non perché (non solo perché) ha aperto un varco. I varchi sull’area della Fiera di Messina erano già stati aperti. Il silenzio era già stato squarciato da tanti reportage, articoli, denunce. L’occupazione del Teatro ha un di più rispetto alla denuncia. E’ l’irruzione sulla scena di un soggetto collettivo che annuncia fin da subito di rinunciare alla rappresentanza di un interesse, a perimetrare il proprio essere. Che offre fin da subito la propria azione come strumento per dare voce a tutti. Per costruire, appunto, il Comune.
Perché la partecipazione alle concertazioni sull’area della Fiera di una molteplicità di soggetti (partiti, imprenditori, enti locali, sindacati) appare oggi insufficiente a definire quel percorso come un percorso condiviso dal punto di vista della decisione collettiva? Perché un movimento dal basso (povero e potente, potente perché povero) ha preso la scena ed ha portato al proprio capezzale tutti i media e le autorità locali? Perché gli attori fino ad oggi in campo sono manifestamente corporativi, rispondono all’interesse particolare delle proprie burocrazie, non hanno rapporto con la vita delle persone. Sono soggetti che puntano alla rappresentanza e ne brandiscono un simulacro, ma in realtà agiscono autisticamente. Il movimento dei poveri, invece, è un movimento politico. Politico perché produttivo. La differenza sta tutta qua. I soggetti istituzionali si nutrono della realtà, ne vivono parassitariamente. Il movimento dei poveri la costruisce la realtà.
Lo scarto determinato dall’occupazione ha inaugurato una nuova cadenza temporale. L’occupazione non è l’espressione della cittadinanza attiva che punta i fari sul problema e lo riconsegna al suo iter, né il manifestarsi di un nuovo attore che si aggiunge al tavolo con tutti gli altri attualmente in campo. L’occupazione è un atto di discontinuità. Il nuovo protagonismo non può esprimersi con la pistola alla tempia dei tempi dell’iter, non può farsi schiacciare dall’impellenza della richiesta di una proposta. Il nuovo protagonismo è la presa della parola. Adesso è necessario che si consolidi quello spazio, che si estenda, non che se ne esaurisca il compito.
Perché questo avvenga è necessario restare dentro la cittadella fieristica. La forza di questa nuova esperienza è tutta in quel presidio. Non che le modalità non possano essere modificate o oggetto di trattativa, ma è essenziale dispiegare per intero, all’interno dell’area la capacità creativa e produttiva dei corpi che si sono messi in gioco. In quel luogo abbandonato, lasciato morire per alimentare la speranza di una resurrezione privatistica, in quel luogo incarcerato, invalicabile, vietato ai cittadini, è possibile fare incontrare le competenze necessarie a progettare un pezzo del nostro futuro.
Un Luogo Comune è una costruzione concreta, è produttivo. Un teatro che si definisce Luogo Comune è uno spazio nel quale la partnership tra pubblico e privato viene sostituita dalla partnership tra i soggetti produttivi di quel contesto: i lavoratori dello spettacolo e i fruitori dello spettacolo, tra chi produce arte e chi ne gode (in una relazione, a volte, di scambio di ruoli). La cittadella fieristica diverrà un Luogo Comune se a progettarla e a viverla saranno i cittadini. E’ difficile produrre un’esperienza di questo tipo? E’ utopistico? Forse, ma il mondo dei ragionieri ha fatto default. Adesso tocca ai sognatori. (LUIGI STURNIOLO)