È finito poco dopo la mezzanotte il concerto di Tarje Nordgarden, dopo svariati bis richiesti dal pubblico. Se vi state chiedendo se vi siete persi un bel concerto la risposta è sì. Il “Norvegese terone” come si è presentato lui stesso, ha suonato, cantato e parlato in italiano per circa un’ora e mezza coinvolgendo il pubblico in un crescendo.
I brani erano quelli del suo nuovo album You gotta get ready, tutti eseguiti in acustico, così come vuole lo stile delle serate della Living room del Rapa Nui, questa sera particolarmente affollata. La voce di Tarje ha letteralmente riempito la sala, al punto che a volte non ha avuto bisogno dell’amplificazione del microfono. I suoi testi sono scritti in viaggio e rispecchiano le tipiche tematiche del genere: l’amore (spesso perduto), gli amici lontani, il rapporto padre/figlio. Ho aspettato la fine del concerto per fare quattro chiacchiere con lui, questa è la trascrizione di ciò che ci siamo detti.
Dove e come nasce You gotta get ready?
Abbiamo iniziato a registrare You gotta get ready a Marsala da un amico, Fabio Genco. Poi sono tornato a Oslo, dove vivevo allora, e ho continuato a lavorarci su, registrando altre parti. All’inizio avevo scelto dodici canzoni, ma man mano che si registrava abbiamo deciso di eliminarne due. È stata una questione di omogeneità, così com’è il disco è molto più uniforme.
Le canzoni sono state scritte durante il tuo viaggio negli Stati Uniti?
Di solito non scrivo i brani in una volta sola. Mi capita spesso di comporre una strofa, il ritornello e poi metto da parte ciò che ho scritto, perché magari sento di non aver più niente da dire in quel momento. Poi però ci ritorno, li aggiusto e gli do una forma. Le canzoni che fanno parte di You gotta get ready sono state scritte in realtà in diversi posti: Berlino, Dublino, Bologna, Oslo, Sorrento… Diciamo che nonostante le varie provenienze, tutte le canzoni hanno subito l’influsso del mio viaggio negli States. È da quando sono bambino che ascolto autori americani. Ho scoperto Springsteen a tredici anni e poi Jeff Buckely, Johnny Cash e andare in America ha sicuramente avuto un effetto sul mio modo di comporre.
Perché il titolo del disco in copertina è scritto al contrario?
Non è colpa mia, è stata una scelta del grafico. Lui è di Catania ed è un vero hippy, si chiama Renato Mancini e quando mi ha proposto il titolo scritto così io non ero convinto. Poi mi sono detto che sono sempre troppo preciso e ho deciso di lasciarlo.
In cosa secondo te You gotta get ready è diverso dagli altri tuoi dischi?
Innanzitutto sono passati quattro anni dal terzo disco, quattro anni in cui ho viaggiato tanto. Come ti dicevo prima il viaggio in America ha avuto una grossa risonanza in me e nella mia musica. Suono musica folk, è un genere che è nato in America, quindi andare in quei luoghi ha certamente avuto un effetto in me, senza parlare poi di quanto l’America mi abbia formato attraverso il cinema e la letteratura. Aldilà di questo però, You gotta get ready è forse il mio primo lavoro che ha una idea ben definita alle spalle. Se ascolti gli altri miei dischi non riesci a trovare questo genere di struttura. You gotta get ready ha in sé un filo che lega tutti brani.
Se non sbagli tu sei diventato famoso prima in Italia…
Famoso è una parola grossa…
Ok, hai avuto successo prima in Italia e poi nel tuo paese, in Norvegia…
Ma guarda, non posso dire di aver raggiunto il successo. Sto lavorando, giorno dopo giorno, puntando sulla qualità e cercando di raccogliere più contatti possibili. Bisogna anche considerare che il momento è quello che è: c’è la crisi, non si vendono più molti dischi, la concorrenza è molto alta, tanta gente suona e lo fa ad alti livelli.
Progetti futuri?
Domani ho un altro concerto, poi vado in vacanza a casa, in Norvegia, e non porterò la chitarra. Per la prima volta dopo tanti anni torno a casa e non suonerò. Non mi dispiace: questo è un anno particolare. Da due mesi sono papà e un figlio ti fa capire che la musica è certamente qualcosa di importante, ma non è fondamentale, una cosa che deve esserci ma insieme a tutto il resto.
Poi con il nuovo anno penserò a scrivere un nuovo disco: mi piacerebbe fare qualcosa in italiano. Il prossimo anno infatti sarà il decimo anno che vivo e lavoro come musicista in Italia e visto che qui ho inciso il mio primo disco mi piacerebbe suonare dei brani di artisti che ho conosciuto in questo periodo: Benvegnù, Marta sui Tubi, Cristina Donà e altri con cui ho avuto il piacere di collaborare. Sarà difficile per me perché cantare in italiano è una cosa pericolosa, ma bisogna rischiare!(FABIO BRUNO)