A sentire indagini e rilevazioni sulla bontà dell’operato dei nostri politici, si deduce chiaramente che una parte dell’ odierna classe politica italiana di qualsiasi indirizzo politico, sia singolarmente considerata: ministro, parlamentare, consigliere regionale, provinciale, comunale e di quartiere, o vista come partito, gruppo o corrente, non gode della stima e della fiducia della maggior parte degli italiani.
Il perché, quotidianamente, lo vediamo alla tv e lo leggiamo sui mass media: incapacità di svolgere il compito per il quale si è stati eletti, interesse privato, sprechi, furti e usi a fini personali di soldi pubblici, corruzione, difesa di troppi privilegi politici, rapporti con la malavita organizzata e non, ed altri comportamenti immorali se non illeciti. E non basta il consistente numero di politici e funzionari integerrimi a frenare l’onda di sdegno e repulsione che monta sempre più dalla gente comune contro la cosiddetta “casta”.
Le conseguenze di tanto mal costume politico ricadono direttamente sulla vita socioeconomica e culturale dell’Italia, che, in questi ultimi decenni ha rallentato il suo processo di crescita rispetto ai Paesi più avanzati del mondo, ed all’estero non dà più una buona immagine di sé. E a nulla sono servite le denunce del cattivo “andazzo” italiano: da Mani Pulite ad oggi il malaffare politico-criminoso ha continuato a produrre illegalità in tutto il Paese. Gli ultimi scandali riguardano i finanziamenti ai partiti politici e la Regione Lazio. Escludendo interventi tipo 1789 (Rivoluzione Francese), quasi irripetibili nel nostro tempo, ma non irrealizzabili, l’unica via democratica ci è data dalla legge. Logico e semplice, si direbbe. Ma non è proprio così, in quanto un serio intervento legislativo, che imponga a tutte le istituzioni e personalità pubbliche un tetto di spesa per lo svolgimento di compiti strettamente connessi alle funzioni svolte, e un controllo dello stesso da parte della Corte dei Conti con severe sanzioni per chi non lo rispetta, solleva subito un generale coro di no. La “casta”, come oggi è chiamata la truppa di affaristi, preferisce, piuttosto, che suoi membri o rappresentanti, cioè gli stessi beneficiari, approvino le spese che la riguardano. Questa strenua difesa dei propri orticelli così ricchi di soldi pubblici, da parte di alcune importanti istituzioni, poggia sulla pretesa indipendenza ed autonomia finanziaria e gestionale di queste ultime, grazie ad una “licenza” (non si sa da chi e quando concessa) che consente loro di non sottoporsi al controllo della Corte dei Conti, organo pubblico indipendente.
Ma tanta anomalia si scontra con il principio costituzionale della eguaglianza di tutti di fronte alla legge, a cominciare, naturalmente, dai rappresentanti eletti del popolo italiano e detentori di un mandato politico. E la Costituzione certo non riconosce, ai politici e ai governanti, alcuna speciale autonomia derivata dallo status di politico; condizione, quest’ultima, creata e cementata, pro domo propria, dal ceto politico italiano nel corso di tanti decenni.
La giovane ( ha poco più di 60 anni di vita) democrazia italiana vive di atti legali e trasparenti, e si rafforza grazie anche ai controlli che più istituti pubblici indipendenti attuano nel rispetto delle funzioni di ciascuno, al fine di regolarizzare non solamente consuntivi e bilanci, che sono fatti pratici, ma soprattutto un modus operandi generale che deve essere nell’esclusivo interesse di tutta la nazione, come dispone la Costituzione.
Silvio Spaventa, sottosegretario al Ministero degli Interni, nel 1863 così scriveva al fratello ? “Che frutto verrà dall’opera mia? Non lo so. Ma so che ho una volontà fortissima di fare il bene senza piegarmi da niun lato…Sai che non ascolto nessuno che mi chieda cosa ingiusta o nociva allo Stato. Dunque, non ti avere a male se non ascolterò nemmeno te, quando mi ti facciano chiedere cose non utili allo Stato”. Lo Stato, appunto, cioè gli italiani. (LEOPOLDO CARDILE)