Centinaia di persone hanno sfilato davanti alla bara di Santiago Carrillo, storico leader comunista spagnolo deceduto il 18 settembre all’eta’ di 97 anni, esposta al pubblico nell’auditorium del sindacato CCOO nel centro di Madrid. Il feretro era avvolto in una grande bandiera rossa e la salma indossava i grandi occhiali che erano un po’ il suo marchio di fabbrica.Carrillo, che ha guidato il PCE dal 1960 al 1982, era uno degli ultimi politici che aveva preso parte alla guerra civile spagnola del 1936-39, combattendo per i repubblicani.Figura moderata che ha sempre mantenuto le distanze dall’Unione Sovietica, accetto’ la restaurazione della monarchia costituzionale in Spagna dopo la morte del dittatore Francisco Franco nel 1977.Davanti al feretro persone di tutte le eta’, che hanno portato rose rosse ed enormi bouquet di fiori presso l’auditorium, e molte personalita’ della politica.
Pubblichiamo il ricordo di Giuseppe Loteta, giornalista e scrittore messinese, che ebbe modo di intervistarlo a Madrid nel 1992 durante la stesura del libro sull’antifascsta Fernando De Rosa (nella foto)
Mosca,1968. In uno dei saloni del Cremlino si svolge una tumultuosa riunione. La presiede Breznev. E intorno a lui ci sono i maggiori dirigenti del partito comunista sovietico, a cominciare da Suslov, il rigido custode dell’ortodossia marx-leninista. A un’estremità del tavolo siede un uomo di poco più di cinquant’anni, stempiato, con gli occhiali, leggermente sovrappeso, l’aria tranquilla. E’ Santiago Carrillo, segretario del partito comunista spagnolo in esilio. E a lui che si rivolgono tutti, con lunghi interventi in cui le minacce si alternano ai tentativi di persuasione.
Già, perchè Carrillo ha prima manifestato piena solidarietà con Dubcek e i fautori della “Primavera di Praga” e poi ha condannato nettamente l’intervento dei carri armati sovietici nella capitale cecoslovacca. Adesso è come una roccia. Non molla. Sostiene la sua posizione e, anzi, rincara la dose. Intollerabile per i signori del Kremlino. Breznev non ne può più. E alla fine sbotta: “Ricordati, compagno Carrillo, che stai rompendo con un partito comunista di decine di milioni di iscritti e con una nazione di centinaia di milioni di abitanti”. La risposta non si fa attendere: “Hai ragione, compagno Breznev. Il nostro è un partito in esilio. E la Spagna è un piccolo paese. Ma non dimenticare che è il paese di don Chisciotte”.
Quando mi racconta quest’episodio, Carrillo ride divertito. Siamo a Madrid nel 1992. Sto scrivendo un libro su Fernando De Rosa, il giovane socialista italiano morto all’inizio della guerra civile spagnola sulla Sierra Guadarrama alla testa del suo battaglione. Carrillo era nel 1934, a meno di vent’anni, segretario della gioventù socialista spagnola e due anni dopo segretario della gioventù socialcomunista unificata. Ricorda bene De Rosa, di cui era molto amico. Mi parla a lungo di lui, delle giornate passate insieme, degli “spaghetti che Fernando sapeva cucinare benissimo”, del comune lavoro nella struttura giovanile del partito socialista spagnolo, della formazione militare che De Rosa guidava nel 1936, costituita subito dopo lo sbarco dal Marocco delle truppe franchiste, della sua fine. Ma non parliamo soltanto di De Rosa. Anche se, partendo da lui, non possiamo fare a meno di soffermarci sulla guerra civile. Carrillo l’ha vissuta tutta, dal 1936 al 1939, tre anni di scontri durissimi, di massacri, di fasi alterne, di speranze e di illusioni.
Ho una curiosità. Il comunista triestino Vittorio Vidali è stato uno dei protagonisti di quella guerra. Aveva costituito il “Quinto reggimento” ed era popolare in Spagna, dove era conosciuto come “Comandante Carlos”. Famosi i suoi discorsi alla radio repubblicana. Chiedo: “E’ vero che Carlos parlava spagnolo come un castigliano?”. Carrillo fa un gesto con la mano, come a dire “tutte frottole”, e risponde prontamente: “Parlava spagnolo come un italiano”. Conclusa la guerra civile con la vittoria di Franco, per Carrillo si apre la via dell’esilio. A Mosca e poi a Parigi annoda le fila del partito comunista in clandestinità e partecipa all’organizzazione della guerriglia in territorio spagnolo, che non cesserà mai, anche se ne saprà poco, nei quasi quarant’anni di dittatura franchista. Alla morte di Dolores Ibarruri, la “Pasionaria”, è eletto segretario del partito. E imprime al Pce una svolta di centottanta gradi. La libertà è tutto, sostiene, senza la libertà non c’è socialismo. E, conseguentemente, ripudia il centralismo democratico, condanna il settarismo del portoghese Cunhal, critica duramente l’Unione sovietica per il processo ai dissidenti Siniavskij e Daniel, appoggia senza riserve il tentativo di Dubcek di edificare in Cecoslovacchia un “socialismo dal volto umano”. Attirandosi le ire del Cremlino.
Ma quando è cominciato il suo revisionismo? “Dal rapporto di Kruscev al ventesimo congresso del Pcus”. Prima era stalinista? “Certo. Se si è stati comunisti non si poteva non essere stalinisti. E poi, come dimenticare che quando le truppe di Franco sfidarono la Repubblica, l’unico paese ad aiutarci è stato l’Unione sovietica?”. Ha conosciuto Stalin? “Sì, l’ho incontrato insieme con Dolores Ibarruri. Lo trovai gentile, molto interessato ai nostri problemi, ma duro quando non si era d’accordo con lui. Non mi fece una brutta impressione. Ma la verità è che io allora non sapevo che mostro fosse Stalin”.
Alla morte di Franco e al ritorno della democrazia in Spagna, Carrillo rientra a Madrid. Il partito comunista ora è legale. Ma, sotto la sua guida, non è più il vecchio Pce. E’ un partito revisionista al quale Carrillo tenta di dare una dimensione europea collegandosi con Berlinguer nell’esperimento, quasi subito fallito, dell’ “Eurocomunismo”. Tanto revisionista che Enrique Lister, il vecchio comandante di un’armata repubblicana durante la guerra civile, fonda un secondo partito comunista, rigidamente filosovietico. Ma non è che l’inizio di una serie di scissioni. Qualche anno dopo è Carrillo ad essere espulso dal Pce e a fondare un altro piccolo partito, “Unità per il comunismo”, che non riuscirà nemmeno a mandarlo in Parlamento. Poi abbandona anche questa formazione e si ritira a vita privata. Privata per modo di dire, perchè il vecchio combattente è dappertutto, tiene conferenze, è informatissimo, si è avvicinato, ma senza iscriversi, al partito socialista spagnolo.
Carrillo ha passato la vita tra guerra, clandestinità, lotte politiche dure, pericoli d’ogni sorta. Ma, paradossalmente, l’unica volta che ha rischiato veramente di lasciarci la pelle non è stato con il fucile in mano o con il Kgb alla porta. E’ stato nella Spagna ritornata finalmente democratica, quando pensava ragionevolmente di essere al sicuro. Correva il 1981. Franco era morto da cinque anni. Si erano svolte libere elezioni. Si respirava aria nuova. Ma i falangisti irriducibili, pochi, per la verità, non si erano rassegnati. Speravano di avere dalla loro una parte almeno delle forze armate e di capovolgere la situazione. Così, il 23 febbraio un oscuro colonnello dell’esercito a nome Tejero irrompe nelle Cortes, il Parlamento spagnolo, con un gruppo di uomini armati. Confusione generale. I soldati sparano in aria con i mitra e costringono i deputati a rifugiarsi sotto i banchi. Resta in piedi soltanto un vecchio generale in pensione, eletto da poco al parlamento. Si avvicina a Tejero e lo schiaffeggia. Ma poi è costretto a colpi di calcio di fucile a piegarsi anche lui. Poi Tejero, che ha in mano una lista, cerca Carrillo. Lo trova e lo fa accompagnare da due soldati in una stanza che viene sprangata e sorvegliata all’esterno da uomini armati. E’ chiaro, chi, come lui, ha avuto responsabilità nella guerra civile ed è stato un protagonista della clandestinità, avrà un trattamento particolare. Carrillo ne è consapevole e sa che il trattamento non può essere altro che la fucilazione. Passa la notte nella cella improvvisata. Ma nella notte la situazione si capovolge. Il re, Juan Carlos, non si presta al giuoco dei congiurati. Sono al suo fianco, dopo un’accesa discussione, i più alti gradi dell’esercito, della marina e dell’aviazione. Vengono diramati ordini precisi. La colonna di carri armati che sta arrivando da Valencia per unirsi ai rivoltosi fa marcia indietro. Il golpe rientra. L’indomani mattina Carrillo è liberato e Tejero arrestato. Ma come ha passato la notte Carrillo? “Di certo non ho dormito”. A che cosa ha pensato? “Ho passato in rassegna la mia vita. E poi mi sono preparato a morire con dignità”. Uno spagnolo non poteva rispondermi diversamente. Ma quando è stato liberato? “Che gioia, accidenti!”. E ride, felice. (GIUSEPPE LOTETA)