Oramai le notizie sugli sviluppi dell’ultimissima operazione antimafia del messinese giungono quasi a cadenza giornaliera. Dopo l’assegnazione dei domiciliari a Giusi L.Perdichizzi ecco che arriva una conferma alla scarcerazione dell’allevatore barcellonese Antonino Calderone, 37 anni, conosciuto in alcune intercettazioni come “Caiella”.
Era stato accusato, a seguito di una indagine dentro l’indagine, di aver preso parte al misterioso quanto tristissimo triplice omicidio della notte tra il 3 ed il 4 settembre del 1993, anno in cui le strade del Comune del Longano videro fiumi di sangue ancora freschi nella memoria dei suoi cittadini. Le vittime, tre giovanissimi di Milazzo ( i meno che trentenni Giuseppe Raimondi e Giuseppe Martino col 33enne Giuseppe Geraci), a quanto pare si erano rese colpevoli di “mancanza di rispetto”. Verso chi? Questa la domanda cui i pentiti hanno risposto facendo nomi e date che sono ancora al vaglio degli inquirenti ancora impegnati nelle indagini. Secondo la versione data soprattutto dal pentito Gullo, i tre ragazzi avevano operato piccoli furti d’auto e rapine d’appartamento in una Barcellona dove non era permesso intraprendere simili attività senza il “permesso” della cellula criminale locale.
Insomma la zona era “protetta” ed i tre ragazzi invece, ignorando i consigli di smettere e lasciare il territorio, avrebbero segnato la propria condanna a morte, molto severa forse a causa dell’aggravante di essere “forestieri”. Un altro ragazzo Barcellonese infatti, reo di aver commesso furti in appartamenti anch’essi “protetti”, nello stesso periodo era stato punito “solo”con l’amputazione di entrambe le mani, secondo una procedura esemplare quanto chiara ed infamante: il taglio delle mani equivaleva, nell’antico messaggio in codice delle esecuzioni, proprio al furto non autorizzato o perpetrato di nascosto a danno di qualcuno meritorio di “rispetto”. Gullo indicò come esecutori materiali degli omicidi il giovane Calderone, Carmelo D’Amico e Salvatore Micale questi ultimi poi assolti. Dunque con questa terza assoluzione, dovuta all’assenza di gravi indizi probatori, il caso rimane insoluto. Tornando invece all’inchiesta principale il tribunale del riesame ha rivisto anche la posizione di Sergio D’Argenio destinato adesso alla scarcerazione per i domiciliari. A carico dell’impiegato della Banca Popolare di Lodi vi sarebbe soltanto l’accusa di estorsione a danno di un imprenditore che si era rivolto all’istituto di credito per avere finanziamenti. Finanziamenti che secondo le indagini dovettero essere “oliati” da cospicue donazioni “chieste” per accelerare le pratiche. Confermate invece le reclusioni di Agostino Campisi, Giuseppe Isgrò, Salvatore Campanino e Giuseppe Ruggeri. Rimangono da esaminare adesso soltanto le pratiche a danno dell’Avv. Rosario Pio Cattafi e degli Imprenditori Giovanni Bontempo e Giuseppe Triolo insieme al geometra Roberto Ravidà.