Pubblichiamo come di consueto la cronaca del processo a carico del procuratore generale Franco Cassata scritta dall’avv. Fabio Repici, legale della famiglia Parmaliana, che coraggiosamente non ha mai smesso di perseguire la verità a fianco dei familiari delle vittime di mafia. Grazie al suo puntuale contributo seguiamo le sorti di un processo quasi “invisibile”.
Venti anni fa, proprio nei minuti in cui scrivo, mafiosi e forse anche apparati dello Stato uccidevano in via D’Amelio a Palermo un eroico magistrato e cinque altrettanto eroici poliziotti. Oggi, anziché partecipare alle iniziative palermitane in ricordo di Paolo Borsellino, mi è toccato occuparmi a Reggio Calabria di un magistrato molto meno eroico, l’unico Procuratore generale d’Italia imputato, Antonio Franco Cassata. Il quale, accusato della divulgazione di un nauseabondo dossier anonimo per infangare la memoria del prof. Adolfo Parmaliana (altro eroe defunto: Brecht sosteneva quanto fosse sfortunato quel paese che ha bisogno di eroi; io aggiungo che è proprio maledetto un paese come il nostro, che gli eroi li riconosce solo dopo la morte), ha continuato a mantenersi contumace e oggi è rimasto a Messina ad assistere umilmente seduto nel pubblico alla commemorazione di Borsellino tenutasi al palazzo di giustizia, rigorosamente escluso (perfino nelle locandine) dal novero dei relatori, immagino per ragioni di opportunità.
All’udienza di oggi è stato il turno degli ultimi testimoni della difesa, persone evidentemente non ostili al Procuratore generale imputato. In effetti, il primo di essi è stato suo nipote, l’avvocato Giovanni Celi, la cui testimonianza è stata incentrata sulle manovre avviate dal dr. Cassata nel settembre 2009 al fine di contattare lo scrittore Alfio Caruso e così incidere (secondo quanto emerso nel processo finora, per impedirne o condizionarne l’uscita) sul libro “Io che da morto vi parlo – Passioni, delusioni, suicidio del professor Adolfo Parmaliana”, in epoca pericolosamente coincidente con l’elaborazione e la divulgazione dell’infame dossier anonimo. Tentativo di condizionamento che – va detto, e così ha riferito anche Celi – non ha avuto esito per la risoluta indisponibilità dell’autore del libro. Ciò detto, Giovanni Celi, che ha lealmente sottolineato l’elevatissima stima intellettuale che egli nutriva e nutre per la figura di Adolfo Parmaliana, ha anche aggiunto che la teoria secondo cui suo zio Franco Cassata fosse caduto in crisi depressiva a causa del libro e avesse fatto ricorso a psicofarmaci è “un’infame bugia”. Detto per inciso: credo che Celi abbia proprio ragione. Immagino che la sua dichiarazione non sarà molto gradita allo zio, visto che era stato proprio Cassata a riferire la circostanza, forse per indurre a pietà il funzionario di polizia per il tramite del quale aveva tentato di agganciare Alfio Caruso.
Finita la testimonianza di Celi, l’udienza ha virato verso la dimensione teatrale, nel senso del teatro dell’assurdo beckettiano nel caso della testimonianza dell’avv. Felice Recupero e in quello di Martoglio (con evidenti echi guareschiani) nel caso della testimonianza di Salvatore Isgrò. Recupero è riuscito a non rispondere (forse aspettava Godot) pressoché ad alcuna domanda e ha perfino affermato di non ricordare alcunché degli atti e dei documenti delle cause da lui patrocinate contro Adolfo Parmaliana. Fra i vuoti di memoria, Recupero ha rischiato pure di dimenticare che suo suocero fosse corrispondente della Gazzetta del Sud da Terme Vigliatore. E di certo chi ha letto il testamento morale di Adolfo Parmaliana ricorderà la citazione di un articolo di giornale – era proprio della Gazzetta del Sud – che aveva divulgato la notizia della sua incriminazione folle da parte della Procura di Barcellona Pozzo di Gotto per aver Adolfo gioito di un decreto dell’allora Capo dello Stato (epoca in cui il Capo dello Stato faceva decreti rientranti nelle proprie attribuzioni e non su vicende nelle quali potesse essere personalmente coinvolto, come invece accade al giorno d’oggi).
Ma Recupero ha chiuso la sua audizione citando un fatto che, da sé solo, dimostra l’astio che il povero Adolfo ha continuato a raccogliere pure dopo il suo suicidio: il vicesindaco dell’amministrazione di Terme Vigliatore sciolta per infiltrazioni mafiose dal Presidente Ciampi nel dicembre 2005, Domenico Munafò, infatti, assistito proprio dall’avv. Recupero, ha fatto causa agli eredi di Adolfo per il contenuto della sua “ultima lettera”: quel documento con cui l’indimenticato docente universitario spiegava le ragioni del suo suicidio, senza sapere che ci sarebbe stato chi avrebbe tentato di perseguitarne pure la memoria.
Con Salvatore Isgrò in aula è sembrato di ascoltare Peppone (nel senso di Guareschi) in salsa siciliana. La sua testimonianza è parsa irrilevante ai più ma di certo ha tirato su l’umore di tanti dei presenti, che hanno avuto molta difficoltà (anzi, non ci sono proprio riusciti) a reprimere i sorrisi a ogni parola di Isgrò. Il quale si è capito che ha in odio i peccatori trasformati in santi: l’esempio da lui citato ha riguardato Francesco Forgione, meglio noto come Padre Pio; ma tutti hanno capito che il suo pensiero andava ad Adolfo Parmaliana, seppure Isgrò non ha avuto il coraggio di farne il nome. Futilità un po’ così, in fondo, rispetto alla notizia che un anno fa Isgrò e altri avversari politici di Adolfo Parmaliana oggi militanti in Rifondazione Comunista sono riusciti a fare una mostra di documenti e articoli di stampa a Barcellona Pozzo di Gotto e tra questi, come per riflesso pavloviano, immancabili ce ne sono stati di critica nei confronti di Adolfo: raro caso di antagonismo politico postumo, visto che Adolfo era già morto da oltre due anni.
Ma evidentemente la memoria di Adolfo ancora oggi rimane immanente nei pensieri non propriamente affettuosi di alcuni, ivi compreso il dr. Cassata. Il processo a carico del quale, calato il sipario sull’udienza di oggi, è stato rinviato al prossimo 20 settembre, allorché rimane da capire se l’imputato sarà ancora Procuratore generale a Messina. (AVV. FABIO REPICI)