Dopo ben 60 anni dall’ultima restaurazione, la “Resurrezione di Lazzaro”, dipinta a Messina nel 1609 da Michelangelo Merisi, più noto come Caravaggio, è tornata all’antica bellezza grazie alle “cure del caso”, per merito dell’Istituto Centrale del Restauro, diretto da Gisella Capponi. Le “mani miracolose”, che hanno svolto questo lavoro, sono delle docenti Anna Maria Marcone, Carla Zaccheo ed Emanuela Ozino Caligaris, coadiuvate da 5 studenti pagati 2.000 euro per sei mesi di lavoro.
L’opera, secondo il biografo Francesco Sussino, fu pagata addiruttura 1.000 scudi, cifra spropositata all’epoca, dal genovese Giovanni Battista de’ Lazzari, il quale aveva una banca nella città dello Stretto, la quale aveva in quel periodo un porto tra i più rilevanti nel Mediterraneo.
Secondo Anna Maria Marcone, a capo dell’equipe che ha effettuato le operazioni del grande restauro, Caravaggio usò per l’opera solo prodotti locali, come resti fossili di conchiglie, presenti nella calce. Altra scoperta importante fatta durante i lavori all’Istituto di Restauro, è quella secondo cui il quadro sarebbe costituito da cinque teli verticali e uno orizzontale; “la cucitura orizzontale è più grossolana,” afferma la Marcone”, la banda in basso, senza figure, è certamente successiva. L’opera era già stata inchiodata, ed abbiamo trovato i fori, prima che venisse aggiunta. Probabilmente, Caravaggio ha dipinto senza conoscere le misure dell’altare al quale la pala era destinata”.
La storia della “Resurrezione di Lazzaro” è abbastanza travagliata: l’opera era precedentemente situata nella Chiesa dei Crociferi, distrutta per costruire la Camera di Commercio nel 1879. L’opera si salvò miracolosamente durante il terremoto del 1908, quando si trovava in un deposito che andò distrutto quel lontano 28 dicembre di 104 anni fa.
La “Resurrezione”, dal 15 giugno al 15 luglio, sarà mostrata a Palazzo Braschi, nella capitale, e farà ritorno al Museo Regionale di Messina non prima del 22 luglio. (SIMONE INTELISANO)