Estorsioni a tappeto. Piccole somme che importanti aziende erano costrette a versare al clan Centorrino, che dagli anni 80 e fino al 2007, anno del “pentimento” del boss Salvatore Centorrino, ha dominato il racket nella periferia sud della città. A svelare ai magistrati i retroscena di un ventennio di criminalità organizzata, lo stesso collaboratore di giustizia, che con le sue dichiarazioni ha consentito ai Carabinieri del Reparto Operativo e agli agenti della Squadra Mobile di far luce su diverse estorsioni messe in atto con il coinvolgimento della sorella di Centorrino, Franca e del cognato Giovanni Marchese.
Tre le informazioni di garanzia firmate dal sostituto della Direzione Distrettuale Antimafia Vito Di Giorgio a conclusione delle indagini e indirizzati allo stesso collaboratore, alla sorella e al cognato. Erano questi ultimi, infatti, a riscuotere le somme di denaro richieste ai titolari di note imprese, tra cui un mobilificio, un calzaturificio, un’azienda vinicola. Somme che variavano dalle 100 alle 300 mila lire, e che con l’euro sono state “convertite” adeguandole al cambio europeo. Somme che venivano estorte con le minacce.
Chi infatti si rifiutava subiva l’intervento diretto del boss: è emerso infatti un episodio, con protagonista il titolare di un’autofficina che si era rifiutato di pagare e a cui Centorrino ha puntato la pistola, chiedendogli di consegnargli 50 milioni di lire. Un “pagamento” che poi si risolse con il versamento di sei milioni, per “accontentare” il boss.