Due passi sono è la storia di Pè e Crì, due personcine piccole piccole che vivono rintanate, ma sarebbe meglio dire autorecluse, nella propria casina piccola piccola. Tutto li terrorizza: dai germi all’indigestione, dalle malattie congenite a quelle virali. Insomma, il mondo appare loro grande e minaccioso, tanto terrificante da costringerli a nascondersi, ad evitare la vita, ad amarsi solo con i guanti di plastica. L’ansietà derivante da un futuro incerto, la paura della cattiveria del prossimo e l’autoconvinzione di non riuscire a sopravvivere sono temi attualissimi, temi che Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi ripropongono con questo spettacolo, di cui non sono solamente interpreti ma anche autori e registi, e con il quale hanno vinto il premio Scenario per Ustica 2011.
Ma centrano il bersaglio a momenti alterni. Lo spettatore partecipa cercando di scoprire, immaginare, intuire attraverso la conta delle pillole di cui si cibano, la fisioterapia, il terrore dei germi, il come e il perché cerchino di proteggersi fino all’ossessione, come e perché si amino, e cosa e perché li abbia portati in quella situazione. Poi, a spezzare questo processo di empatia da parte dello spettatore, sopraggiungono le spiegazioni: spiegano il perché faccia meno paura immaginarla la vita anziché doverla affrontare, illustrano i loro sentimenti, temono insomma che lo spettatore non sia abbastanza intelligente da arrivarci da solo. Fasi che, come dicevo sopra, si alternano, impedendo di rimanere o sull’emotività o sul mero intelletto. Il finale poi soffre più che mai di questa situazione: il coraggio, la voglia di amarsi e i sogni da vivere, non sono più un piccolo tesoro nascosto che lo spettatore trova e gelosamente custodisce, ma più che altro un momento che si ferma alla mente, senza scendere al cuore.
Forse è per questo che non si arriva commossi alla fine. Peccato. (RE CARLO)