“Il procedimento seguito dall’Università di Messina appare nel suo complesso corretto”. Lo ha deciso la Terza sezione del Tar di Catania che ha respinto due ricorsi, ( 55 studenti più uno)presentati dai non ammessi al Corso di laurea, ritenuti “privi di giuridico fondamento” . Una sentenza in primo grado che non ha chiuso il caso della violazione dell’anonimato nel Concorso per l’ammissione al Corso di laurea in Medicina e Chirurgia per l’anno 2011/2012, e contro cui gli avvocati Santi Delia e Michele Bonetti stanno facendo appello. La decisione del Tar, infatti, non avrebbe tenuto conto di alcuni fatti, non facendo nemmeno cenno alla “strana” sparizione delle “brutte copie” dei test di ammissione, rubati al Rettorato lo scorso gennaio e su cui la Procura ha aperto un’inchiesta.
“Non siamo soliti commentare le sentenze di primo grado ma, ove vi siano i presupposti, appellarle ed ivi spiegare le ragioni del nostro dissenso. In questo caso, tuttavia – dichiarano gli avvocati Delia e Bonetti – le ragioni che ci hanno già convinto ad annunciare l’appello avverso la sentenza del T.A.R. e prendere posizione sul comunicato stampa diramato dall’Ateneo, sono dovute ad una errata ricostruzione dell’operato della commissione in punto di fatto, su cui è basato l’intero iter argomentativo di cui in sentenza.
Il T.A.R., infatti, ha ritenuto corretto l’operato dei Commissari assumendo che questi si siano limitati a verificare la concordanza dei codici (segreti) attribuiti ai candidati senza avere contezza delle generalità degli stessi come visibile dalla “finestra trasparente” delle due buste contenenti, rispettivamente, il foglio risposte e quello anagrafica (contenente l’abbinamento di nome e codice).
Se così fosse stato, tuttavia, nessuno degli studenti avrebbe lamentato così gravi violazioni del principio dell’anonimato.
Sono gli stessi verbali di concorso (che alleghiamo con tale parte in evidenza), invece, a chiarire che i Commissari hanno non solo controllato “la concordanza tra numero seriale del compito e numero seriale della scheda anagrafica” ma hanno, altresì, verificato “la concordanza tra i dati contenuti nella scheda anagrafica e il documento di identità del candidato”.
Tale verifica è possibile solo esaminando l’intero foglio anagrafica e non solo il codice segreto visionabile dalla finestra trasparente.
Siamo rammaricati inoltre,– continuano gli avvocati, che anche in altre occasioni hanno difeso gli studenti contro l’Ateneo – del fatto che il T.A.R. abbia omesso di chiarire le conseguenze sulla validità della prova con riguardo alla sparizione dei plichi. Sulla vicenda, infatti, avevamo proposto separati motivi aggiunti (pubblicati persino sul sito d’Ateneo) della cui esistenza non si da conto nè in fatto nè in diritto della sentenza.
Forse anche per tali ragioni, la sentenza non sembra avere avuto una genesi pacifica nei membri del Collegio, essendo documentale che sia stata estesa non dal relatore designato ma dal Presidente del Collegio.
Siamo fiduciosi, pertanto – spiegano ancora Delia e Bonetti – che trattandosi di un’evidente errata percezione delle circostanze in punto di mero fatto, in sede di appello si riesca a fare luce sulla vicenda nell’interesse non solo dei ricorrenti ma di tutte le migliaia di studenti partecipanti alla prova.
In merito al tenore del comunicato dell’Ateneo, invece, non riusciamo a comprendere per quale ragione si continui a difendere un metodo che, per lo stesso Tar Catania, è giustificabile solo perché “il principio dell’anonimato non può essere inteso in modo tassativo e assoluto, tale da comportare l’invalidità delle prove ogni volta che sussista un’astratta possibilità di riconoscimento”.
A nostro parere, infatti, – concludono gli avvocati – la difesa di un metodo (comunque) astrattamente idoneo a violare le garanzie di segretezza concorsuali con conseguente identificazione e abbinamento dei compiti ai candidati non può giovare all’Ateneo Messinese e alla sua immagine. Il Consiglio di Stato (parere n. 3672/11) ci ha già dato ragione per 11 studenti, ritenendo “sufficiente la mera, astratta possibilità dell’avverarsi di una tale evenienza”e ora andremo proprio in appello per colpire non l’Università di Messina ma il metodo che propina da dieci anni a questa parte. Non basterebbe, ci chiediamo, uniformarsi ai criteri degli altri Atenei nazionali e evitare inutili polemiche e ricorsi scaturiti a seguito dell’esatta riproposizione delle stesse modalità?”