Saverio La Ruina porta in scena un monologo su di una tragedia poco raccontata: quella di alcuni soldati italiani rimasti intrappolati dalla dittatura albanese nata alla fine della seconda guerra mondiale e che finirono per divenire per tutto il mondo “stranieri”. Troppo italiani per l’Albania, troppo albanesi per l’Italia.
E Saverio, devo ammetterlo, ha saputo farci chiudere gli occhi per portarci nel mondo onirico del teatro, tant’è vero che ho contato ben 3 persone addormentate nella mia sola fila, più uno stoico omino che tentava di non cadere tra le braccia invitanti di Morfeo. E qua e là, via via che ci si addentrava nello spettacolo, ingenue e innocenti testoline crollavano, cadevano, vinte, pur senza volerlo, da un sonno mortale, per poi raddrizzarsi con rapido scatto come per correggersi, per redimersi, quasi a voler giurare che non sarebbe più accaduto. Ma poi s’accasciavano nuovamente. Lo dico, ma non è una critica né un insulto, questo è ciò che è successo veramente.
Il tono è mortifero, bofonchiante, la voce “opaca” come quella di un prete millenario che mormora un’omelia infinita, masticando le parole come se sgranasse un rosario. E non scusatelo col discorso dell’accento meridionale perché non regge: Eduardo De Filippo dimostrò ampiamente che la cadenza dialettale non è un handicap per la dizione. Vedere una persona addormentata a teatro può essere un caso, vederne due già è più curioso, ma vederne quattro solo in una fila è ridicolo, vergognoso, non per quei poveracci, ma per il signor Saverio La Ruina. Possibile che nessuno lo abbia mai avvertito delle sue proprietà soporifere? Possibile che un attore nemmeno col microfono riesca a far uscire un po’ di voce? Ed è mai possibile, e me lo chiedo sempre, che a teatro si usi la stessa descrizione che si usa nella narrativa? E’ così difficile capire la differenza? Ma soprattutto: è mai possibile che si debba pagare il biglietto per sentire dire a voce le stesse identiche cose che potrei leggere da solo? E questo quando va bene, quando va male devo sopportare il nulla visivo e il nulla uditivo. Bene, bravo, sappiamo che faccia ha la persona che ha scritto Italianesi, complimenti. Adesso dovrò cercare il testo per leggermelo visto che della storia non conosco null’altro se non l’incipit che, ammetto, pare interessante.
Altro che critica teatrale, qua mancano le basi della messa in scena, manca il buon senso e manca anche la critica dello spettatore che dovrebbe sentirsi offeso, che cosa dovrei mai scrivere?
(RE CARLO)