L’uomo dei record compie 70 anni. Un traguardo, quello raggiunto oggi da Dino Zoff, che si incastra con una serie cosi’ numerosa di giorni speciali che nemmeno si contano piu’. Dino il mito, il capitano dell’Italia campione del Mondo nel 1982 in Spagna a 40 anni suonati, campione europeo nel 1968, vice-campione mondiale nel 1970, che compie gesti destinati a rimanere nella storia: alza la Coppa piu’ bella; gioca a scopone con il presidente della Repubblica Sandro Pertini; manda a quel paese Berlusconi; gioca 642 partite in serie A, 112 in azzurro – difende la porta della Nazionale per 15 anni, dal 1968 al 1983, nei primi tempi alternandosi con Albertosi – e resta a lungo il recordman, prima di essere superato nel numero di presenze da altri campioni. Settant’anni, di cui cinquanta vissuti a pane e calcio con serieta’, professionalita’, umilta’, tanto da diventare un esempio in un mondo a volte sconclusionato. La lunga storia d’amore tra Zoff e il pallone inizia negli anni cinquanta nella squadra di Mariano del Friuli, la sua citta’, e continua fino all’esordio in serie A nel 1961 con l’Udinese, poi dal 1963 al 1967 al Mantova, quindi fino al 1972 a Napoli e infine, dal ’72 al 1983 nella Juventus. Era la Juve di Causio, di Bettega, la squadra che Dino ha sognato fin dall’inizio della sua carriera: furono undici anni incredibili, con sei scudetti, due Coppe Italia, una Coppa Uefa, una sequenza ininterrotta di presenze fino alla delusione piu’ grande, la sconfitta nella finale di Coppa dei Campioni con l’Amburgo, il 25 maggio 1983 ad Atene. Una settimana dopo da’ l’addio al calcio giocato e ad una carriera che resta inimitabile. E’ l’antitesi del prototipo del portiere, per definizione un po’ ”pazzo”, di sicuro imprevedibile. Dino da’ un’altra interpretazione a quel ruolo: e’ un freddo, ha un grande senso del piazzamento, e’ impeccabile nelle uscite, uno che da’ sicurezza ai compagni. Un carattere che accompagna anche la sua ricca carriera di allenatore e di dirigente, tra Juve, Lazio e Fiorentina, un biennio da commissario tecnico della Nazionale con un lavoro ottimo e un titolo europeo perso al golden gol. Criticato da Berlusconi per la marcatura di Zidane, dopo la finale europea del 2000 consegnata alla Francia, Zoff lascia la panchina azzurra. Un’autentica leggenda, icona del calcio mondiale. Le sue mani – quelle che oggi si dedicano ad un’altra grande passione, il golf – sono state immortalate in un celebre disegno di Renato Guttuso mentre sollevano la Coppa del Mondo nella notte madrilena dell’ 11 luglio 1982. I ricordi non si cancellano. Neppure quei dieci chilometri in bicicletta che faceva da bambino per andare a giocare una partita, tanto meno un calcio dove i sogni erano limitati. Non si sarebbe mai permesso di esultare secondo la moda di oggi, o di rinnegare le sue origini contadine o, ancora peggio, di mancare di rispetto ad un avversario. Ha vissuto al fianco di grandi campioni come Sivori, Altafini, Barison, Juliano, Platini, Boniek, ha conosciuto Meazza che lo scarto’ ai provini, ha condiviso i lunghi silenzi di un grande uomo, Enzo Bearzot, ha percorso un tratto di strada al fianco di un altro mito, Trapattoni, ha allenato fuoriclasse come Baggio e Totti, ma anche giocatori imprevedibili come Gascoigne. Negli anni Dino Zoff diventa SuperDino. Lo e’ anche quando accarezza Enzo Bearzot, in un’immagine passata alla storia, dopo la vittoria in finale a Spagna ”82, prima di alzare la coppa al cielo, da capitano. Una carezza leggera, la stessa che oggi le sue mani di settantenne dedicano a quelli che, nonostante siano passati tanti anni, sono gli affetti piu’ cari: la moglie Anna, il figlio Marco e i suoi nipotini. E’ la vita di sempre: non c’e’ piu’ il calcio giocato, ma la passione rimane quella che nacque tanti anni fa nella testa di un ragazzino che sui campetti di Mariano del Friuli se ne fregava quando lo prendevano in giro per la sua ”voglia di tuffarsi” sul pallone.