TOTO’ RIINA: DICIANNOVE ANNI FA L’ARRESTO DEL “CAPO DEI CAPI”

 

Era il 15 gennaio del 1993 quando il Crimor, una squadra speciale dei Ros, guidata dal capitano Ultimo, ormai leggenda vivente, metteva fine ad uno dei più sanguinosi e degradanti capitoli della nostra storia. Totò Riina, il superboss di CosaNostra, veniva arrestato proprio vicino casa sua in via Bernini 54. Non in America latina, su nessuna isoletta sperduta nel pacifico. A Palermo, dove insieme alla moglie Antonietta Bagarella ed ai figli, aveva trascorso diversi anni di latitanza. A Palermo, sotto il naso di tutti, davanti agli occhi di chi certamente sapeva. Addio a stanza vuota e piatti di minestra ancora fumanti, addio a frustrazioni, Totò Riina è in manette, stavolta lo hanno venduto, svenduto, davvero. CosaNotra gli si ritorse contro, un suo ordine gli si ritorse contro: l’aver mandato a morte il suo ex autista, Baldassarre di Maggio, divenuto, per ripicca e per paura, collaboratore di giustizia. Salvatore Riina, nato a Corleone  il 16 novembre 1930, Totò, detto “u Curtu”, “la Bestia” è pronto per andare nell’unico posto che merita davvero: il carcere, quello duro.

 A 13 anni il piccolo Salvatore Riina divenne il capofamiglia , l’appellativo gli piacque fin da subito,  perdendo, durante l’estrazione di polvere da sparo da un ordigno della seconda mondiale, il padre Giovanni ed il fratello Francesco. Fu in questo momento che Salvatore conobbe un certo Luciano Liggio, un qualcuno che di “famiglia” già ne sapeva qualcosa. Liggio lo iniziò al furto del grano ed all’estorsione ai contadini, il pizzo. Cresceva Salvatore, o meglio Totò, cresceva, fino a quando, a 19 anni, durante una rissa uccise un suo coetaneo. Dopo un breve periodo all’Ucciardone tornò a Corleone, dove, rivelò  la sua vera natura, non che prima fosse tanto oscura. Sì mise al servizio di Luciano Liggio insieme ad un altro ragazzo, un certo Bernardo, un altro uomo chiave nella vita di Totò. Liggio ed i suoi erano ambiziosi, si asservirono a Michele Navarra, il primo vero boss Corleonese, che con tutti i capi ha avuto in comune una fine violenta per mano dei “suoi” il 2 agosto 1958. Liggio adesso è al comando, Totò e Binnu fanno piazza pulita dei cosiddetti  “navarriani”. Venne catturato di nuovo Totò “la bestia”, ma nel celebre processo dei 114 svoltosi a Bari e Catanzaro nel 1969, venne scagionato e dall’ormai conosciuto Ucciardone, tornò a Corleone, dove riunitosi ai suoi, iniziò una vera e propria scalata al potere. Nel 69, in viale Lazio, perdono la vita Bagarella, uno dei suoi ed il boss Michele Cavataio. All’inizio degli anni ’70 i tre corleonesi, Liggio, Riina e Provenzano, appoggiati dal famoso Don-sindaco di Palermo-Vito Ciancimino , si inimicarono tutti i più importanti “capifamiglia” palermitani,  Giuseppe Di CristinaGiuseppe CalderoneStefano Bontate e Salvatore Inzerillo. Forti dei traffici di droga, sigarette e degli appalti “vinti”, forti dell’appoggio di alcuni boss camorristi, i corleonesi  iniziarono l’ascesa. Nel 1974 per fortuna o purtroppo, Liggio viene arrestato e Riina prende il comando di tutto, accrescendo in maniera esponenziale i suoi affari. Il ’74, sarà anche l’anno in cui Totò, sposerà Antonietta Bagarella, madre dei suo 4 figli. Bontate tentò di uccidere Riina, ma “u Curtu” era stato avvisato che quell’invito a casa del boss era una trappola; Bontate fallì, la rappresaglia di Riina fu aspra, lo fece uccidere insieme  ad Inzerillo. Questo scatenò una sanguinosa guerra di mafia agli inizi degli anni ’80, una guerra che indebolì le famiglie palermitane e che favorì la conquista del potere da parte di Salvatore Riina. Il suo regno inizia orientativamente nel 1982, e durante esso, lo stato sarà il suo unico vero rivale ed il suo unico vero alleato.  

Una scia di sangue ha caratterizzato gli anni dei corleonesi, di Riina in particolare, durante la loro guida di CosaNostra. Il procuratore Scaglione, il tenente colonnello Giuseppe Russo, il giornalista Mario Francese, il politico Michele Reina,  il capo della squadra mobile Boris Giuliano,  il giudice Terranova, il maresciallo Lenin Mancuso, il presidente della regione siciliana Piersanti Mattarella, il capitano dei carabiniere  Emanuele Basile, l’onorevole Pio La Torre ed il suo autista Rosario di Salvo, il prefetto generale Carlo Alberto dalla Chiesa e sua moglie Emanuela Setti Carraro, l’agente di PS Domenico Russo, il poliziotto Calogero Zucchetto,  il giudice Rocco Chinnici, il capitano dei Carabinieri Mario D’Aleo insieme a  Giuseppe Bommarito e Pietro Morici,  il commissari Beppe Montana e Ninni Cassarà, il giudice Alberto Giacomelli ed il giudice Antonino Scopelliti, l’imprenditore Libero Grassi, i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino insieme alle loro scorte. A questa lista si aggiungono Salvo Lima ed Ignazio Salvo che promisero a Riina una pena ben differente dall’ergastolo grazie a  delle loro conoscenze.

Come tutti sappiamo, il maxiprocesso terminò con la conferma degli ergastoli per il superboss e con la successiva eliminazione dei due. Riina però non si limitò ad eliminare fisicamente i suoi avversari, bensì, tentò di colpire in maniera crudele anche le rispettive famiglie, soprattutto nei casi dei collaboratori di giustizia, come Buscetta: ordinò infatti ai killer ,suoi scagnozzi ,ed agli altri capifamiglia di eliminare i parenti dei pentiti fino al ventesimo grado di parentela.

La lista dei nomi che si sanno e che non si sanno è quasi sicuramente più lunga, esattamente come la lista delle richieste che CosaNostra, sembrerebbe, fece allo stato, tramite un celebre papello, il quale però ha fatto perdere le sue tracce quasi vivesse di vita propria. Adesso “la bestia” è in carcere da 19 anni, ha fatto il carcere duro, ed i suo cuore, col tempo, ha iniziato a cedere: diverse volte è stato ricoverato per complicazioni cardiache, ed ora, ha anche il permesso di vedere gli altri detenuti nell’ora d’aria.

A Salvatore Riina, un povero vecchio agricoltore, cento di questi giorni, perché la morte, per un uomo che della morte ha fatto il suo biglietto da visita, sarebbe un regalo troppo grande. Sarebbe una liberazione da quelle quattro mura che ogni giorno lo circondano, sarebbe una liberazione da quei problemi di cuore in cui forse ogni tanto spera. No, Totò deve pagare con la vita, sperando che sia il più lunga possibile. (SIRO BIZZI)

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