Qualcuno ci ha chiesto come mai non pubblichiamo la cronaca degli abusi sessuali subiti da bambini, e adulti, in particolare oggi che la notizia del “violentatore” che scopre al processo di essere il padre della sua vittima, ha fatto il giro d’Italia.
L’occasione ci offre la possibilità di spiegare parte del nostro modo di fare informazione. Attenzione, noi siamo sensibili al triste fenomeno che in città sembra avere purtroppo grande rilevanza. Ad esempio abbiamo pubblicato la notizia della sentenza definitiva dell’allenatore che ha abusato dei piccoli allievi. Ma abbiamo evitato di soffermarci su vicende che ancora non hanno esiti processuali, tantomeno vorremmo entrare nei particolari pruriginosi che, accanto a iniziali e resoconti di stralci di miseria umana, suscitano l’interesse del lettore medio. Sinceramente non siamo qui per alimentare il circo mediatico che noi stessi critichiamo e di cui non condividiamo molte regole. Perché non crediamo al “mercato” dell’informazione. Crediamo piuttosto che l’opinione si faccia sui contenuti, più che sulle singole vicende, soprattutto quando non sono testimonianze di vittime che accettano di diventare simboli di riscatto, ma quando il rischio è quello di mortificare ancora una volta la loro sfera più intima.
Per intenderci, quando si pubblica una notizia, prima di pensare al lettore, noi penseremo sempre a chi della notizia è protagonista. Soprattutto nei casi di cronaca. Il cinismo di certo giornalismo che chiede ai funerali come stanno i familiari del defunto, o che spera di registrare le lacrime che provocano commozione a catena, o che approfitta della cronaca per fare pornografia, non ce lo abbiamo. In fondo, come disse Montanelli, siamo soltanto giornalisti.