Un intero collegio di difesa in conferenza stampa per tutelare, prima ancora che in tribunale davanti ai giornalisti, gli interessi del gruppo imprenditoriale Bonaffini-Chiofalo, a quattro giorni dal maxisequestro operato dalla Squadra Mobile di Messina, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia.
Secondo i legali, il sequestro del patrimonio, pari a 450 milioni di euro, sarebbe sbagliato. Ma senza entrare nel merito dell’inchiesta, si sono invece soffermati sulla posizione di una delle quattro persone coinvolte, ovvero Domenico Chiofalo, il cui coinvolgimento nella vicenda sarebbe basato su risultanze investigative già “smontate” dal tribunale.
Il riferimento degli avvocati Carlo Autru Ryolo, Nunzio Rosso e Salvatore Silvestro è alla conclusione a cui è giunta la prima sezionale penale del Tribunale di Messina riguardo al procedimento scaturito dall’operazione “Ninetta”: l’unico riferimento a Domenico Chiofalo, ricordano i suoi avvocati, era una intercettazione datata 19 settembre 2003 in cui si parlava di “calamari di gomma” che, secondo gli inquirenti, rappresentava allora la prova principale di affiliazione dell’imprenditore messinese ad un’associazione dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti.
I legali di Domenico Chiofalo hanno ribadito che il 28 luglio 2006 il Tribunale del Riesame aveva già annullato l’ordinanza custodiale perché gli stessi giudici del riesame riascoltando la registrazione ambientale erano giunti alla conclusione che non si trattasse di droga, ma che i calamari fossero davvero calamari.