Applausi più che convinti hanno accolto “Adolphe. The importance of being …”, straordinaria operazione che trasforma in originale una storia nota, quella della pièce “Le prénom” di Delaporte e de la Patellière e delle sue traduzioni cinematografiche, da “Cena tra amici” a “Il nome di mio figlio”.
Visto al microscopio e analizzato come su un tavolo autoptico, il piccolo mondo borghese dei quattro protagonisti, con un quinto sempre evocato, viene raccontato da una regia, firmata da Auretta Sterrantino, che, assistita da Martina Morabito, ha creato un’opera al ritmo del metronomo, talvolta dilatando, talvolta sospendendo, talvolta accelerando il tempo, e trovando nelle compulsioni dei personaggi, del tutto inadatti a cogliere le lezioni della realtà, una chiave di lettura che intesse d’ansia l’atmosfera, in ciò aiutata dalle sonorità elettroniche create da Filippo La Marca per lo spettacolo e dalla scenografia di Valeria Mendolia che ricostruisce, con accuratezza esemplare, appartamenti ed esistenze nei quali lo snobismo è funzionale a mantenere inconsapevolezza e implosione.
I quattro attori, mai caricature, incarnano veri e propri tipi, l’uno contro l’altro, in logiche di contrapposizione che mutano continuamente, due contro due, uno contro tre, e così via, senza redenzione, senza progresso. Livio Bisignano, Loredana Bruno, Oreste De Pasquale e Giada Vadalà si muovono come fossero a casa propria, creando con la loro interpretazione un metaforico buco della serratura attraverso il quale il pubblico può guardare, mantenendo l’illusione della distanza, della “differenza”.
Un “atto unico”, l’ultimo della stagione creata da QAProduzioni, che se lascia spazio a ironia e sorrisi, ha il sapore amaro della cronaca e nel dire “arrivederci” al pubblico, numeroso, della rassegna, da’ prova di impegno e profondità di sguardo e di scelte.